mercoledì 7 dicembre 2016

Corriere 7.12.16
Cosa resterà al Pd di quel 41%
di Alessandro Trocino

ROMA Ripartire da un numero magico. Da quel 41 per cento (40,89 per la precisione) che, associato all’esito referendario, è sconfitta, ma traslato in un’elezione politica può trasformarsi magicamente in una vittoria. Le ambizioni di Luca Lotti, braccio destro di Matteo Renzi, sono concentrate in quella cifra. Ma devono passare al vaglio di un paio di domande: chi sono quei 13 milioni 432 mila cittadini che hanno votato Sì? E perché hanno messo la crocetta sul Sì?
«Renzi ha ragione a pensare di ripartire da quel dato — sostiene Roberto Weber, di Ixè —. Perché il fronte del No è composto da diverse famiglie politiche, che finiranno per dividersi dopo il voto. Invece il fronte del Sì condivideva un progetto, un’istanza di modernizzazione. Se da una parte c’è stato un voto fortemente antirenziano, più che anti-riforma, dall’altra forse non si può parlare di voto renziano, ma filo renziano sì». Weber avvalora la sensazione con un dato: «La fiducia in Renzi, nel 41 per cento di Sì, è pari all’80 per cento. Mentre nel No era al 7 per cento. Da qui a traghettare quei voti ce ne passa, ma è un buon punto di ripartenza».
Ce ne vuole, a traghettare quei voti, perché le variabili in campo sono tante: quando si andrà al voto, con quale legge elettorale e con quali alleanze. Ma intanto, nel disastro della sconfitta, si può provare a vedere il bicchiere mezzo pieno. Anche se gli avversari di Renzi non concedono un millimetro. Massimo D’Alema, per esempio, giudica «folle» pensare che quella cifra si possa identificare con un Pd a trazione renziana. E fa un esempio: «Nel referendum della scala mobile, il Pci prese il 45,7 per cento. Alle Politiche, poi, prese il 27 per cento». Lo stesso esempio ripreso ieri da Pier Luigi Bersani. Parallelo calzante, ma fino a un certo punto. Perché nel Sì del 1985 c’era il Pci ma c’erano altri partiti che valevano un 10 per cento elettorale (Democrazia proletaria, Verdi e Msi, a proposito di «accozzaglie»). E soprattutto perché le Politiche si tennero ben due anni dopo, nel giugno 1987, con la sconfitta di Alessandro Natta (contro quel Ciriaco De Mita che oggi, paradossi della storia, era al fianco di D’Alema nel No).
Nicola Piepoli è più cauto nell’analisi: «Renzi non si può intestare tutti quegli elettori. La realtà è che il Pd ha guadagnato qualcosa e contemporaneamente ha perso le elezioni. È stato un suicidio: il partito si è auto-sconfitto. Ma Renzi mantiene uno zoccolo duro: di quel 41 per cento, almeno il 25 per cento è del Pd».
Ancora più scettico Pietro Vento, di Demopolis: «Il voto è stato trasversale, una parte degli elettori non ha seguito le indicazioni dei leader». Anche per Demopolis tre elettori del Pd su quattro hanno votato Sì. Ma l’istituto ha indagato anche le ragioni di questo voto: il 34 per cento di loro motiva il Sì con l’apprezzamento della riforma, il 25 per dare continuità al governo Renzi, il 41 per entrambe le ragioni. C’è un ultimo dato utile: «Se si votasse ora per la Camera — secondo l’ultimo Barometro politico — il Pd otterrebbe il 32 per cento dei voti. In voti reali, avrebbe circa 10 milioni di voti». Dati da prendere sempre con l’inevitabile contrappeso della cautela, causa troppe variabili in gioco.
Alessandra Ghisleri mette in fila qualche cifra sui leader del Pd: «Veltroni nel 2008 prese 12 milioni di voti; Bersani, alle Politiche del 2013 scese a otto milioni e mezzo. E Renzi alle Europee superò gli undici milioni di voti». Ora, il punto è proprio capire quanti dei 13 milioni e rotti di Sì si possono associare a Renzi. Sicuramente dalla quota Pd vanno detratti i voti di Alfano, Casini, dei forzisti disobbedienti e persino di un 10 per cento di 5 Stelle. Ma resta un gruzzolo considerevole: «I voti non sono mai di proprietà di nessuno — sostiene Ghisleri —. E in tempi di volatilità come questi, ancora meno. Però è vero che Renzi si è giocato il tutto per tutto. E molto consenso era personale». Quindi, sarebbe giusto ripartire da qui? «Più che ripartire, direi, capitalizzare questi voti. Fidelizzare questi elettori a un progetto».
Anche perché occorre capire se dopo la sconfitta, si vorrà ancora dar credito a Renzi. Weber aggiunge un elemento: «In questo referendum, molti No erano motivati con la ragione di difendere la Costituzione, con una retorica molto di sinistra. Ma quel clima non ci sarà alle Politiche. E quindi una parte del No potrebbe riaggregarsi a un Pd a guida renziana. È un’operazione rischiosissima. Ma Renzi è incredibile: un vero giocatore d’azzardo». Il 5 dicembre ha perso l’azzardo, ma la partita potrebbe non essere finita.
Alessandro Trocino