Corriere 7.12.16
Le mosse di Franceschini per frenare la corsa alle urne
Il pressing del ministro (e non solo), poi si media per la direzione di oggi
Bersani: Renzi fa un partito? Può darsi. Non sfidi l’Italia sulle macerie
di Monica Guerzoni
ROMA
«Franceschini? Ma cosa c’entra, Franceschini? Uno si ammazza di lavoro
per costruire un accordo e voi insistete nel voler creare questo
personaggio...». Lo sfogo di Lorenzo Guerini con i cronisti
parlamentari, che da ore lo tallonano nel transatlantico di
Montecitorio, è addolcito dal sorriso, eppure si capisce che il
vicesegretario del Pd non ha alcuna voglia di farsi scippare il ruolo di
grande mediatore.
Ore di triangolazioni fra Camera, Nazareno e
Palazzo Chigi, telefonate e incontri con tutti i capicorrente, finché a
metà pomeriggio la tensione — che rischiava di far deflagrare il Pd — si
scioglie in sospiri di sollievo. E salta fuori un’intesa per rendere
meno esplosiva la direzione di oggi. «Sarà molto serena — spera Guerini,
esausto — Siamo un partito responsabile, seguiremo il percorso del capo
dello Stato». E il percorso, per Graziano Delrio, è «un governo di
scopo che ci porti alle elezioni».
Per quanto frustrati e
dilaniati dalla «botta» di domenica, i dem sono dunque disposti a far
nascere un governo di responsabilità, purché sostenuto da una
maggioranza vera. «Non staremo lì a farci rosolare tutti i giorni», è il
mantra di Renzi. «La proposta del segretario — anticipa Ettore Rosato —
sarà coerente con quello che ha detto domenica e ispirata da senso di
responsabilità nei confronti del Paese». E se l’accordo non si trova?
«Noi non abbiamo paura delle elezioni, anche subito».
Per
convincere Renzi a rallentare la corsa verso le urne c’è voluto il
pressing di tutte le aree del Pd, compresi molti renziani terrorizzati
all’idea di un «bagno di sangue» elettorale. «Matteo è molto provato,
c’è il rischio che non elabori il lutto — confidava all’ora di pranzo
Matteo Richetti —. Sono andato a consolarlo e ora, se lo conosco, è
pronto ad azzannare di nuovo». La paura del voto subito spacca
trasversalmente le correnti. «Votare a febbraio è pura follia», gemono a
decine i deputati del Pd. Pure il renzianissimo Ernesto Carbone ci va
cauto: «Andremo a votare quando lo deciderà Mattarella». Il primo a
frenare è stato Dario Franceschini, in stretto coordinamento con il
Quirinale. Ma i parlamentari vicini al ministro della Cultura assicurano
che «Dario» non sta tessendo trama alcuna. Anche perché, spiega uno dei
suoi, non è da lui «scaldare la sedia a un altro per tre mesi, è una
balla messa in giro per avvelenare i pozzi». Anche Andrea Orlando si
oppone con forza alla prospettiva di elezioni anticipate, a rischio di
spaccare la corrente dei giovani turchi. Francesco Verducci assicura che
il clima tra gli ex ds prestati al renzismo «è unitario», eppure un
altro «turco» non la vede così: «Per salvare se stesso Orfini si è
chiuso a Chigi con Renzi senza nemmeno consultarci». Anche Maurizio
Martina ha scelto Renzi e chissà se tutti i suoi parlamentari lo
seguiranno.
Nel pomeriggio, quando già tutte le correnti avevano
convocato cene e riunioni bellicose, la crisi di nervi collettiva è
andata placandosi. Il documento di compromesso abbozzato dai
franceschiniani per disinnescare il diktat di Renzi — «o governo con
tutti o voto» — è stato cestinato e si è accettato di procedere con la
relazione del segretario, che salvo ripensamenti non sarà sottoposta a
una conta. «Ci staranno tutti», incrocia le dita Rosato. E in cuor suo
confida che la direzione la approverà «all’unanimità».
Nell’ufficio
di presidenza del gruppo al Senato il braccio destro di Bersani,
Maurizio Migliavacca, ha parlato chiaro: «Noi la fiducia la diamo, ma
senza accelerazioni». E oggi, davanti alla sede del Pd, c’è chi teme la
presenza di militanti inferociti con chi ha votato No. Alla Camera
girava un volantino contro Bersani e Guerini ha preso distanza da chi
fomenta la rabbia: «Non sono d’accordo». I renziani però sono furiosi
con Bersani, che in tv a Di Martedì ha messo a dura prova i loro nervi:
«Renzi la smetta di sfidare ancora il Paese», perché «sulle macerie non
si vince e non si perde». Parole che al Nazareno sono arrivate come
«insulti inaccettabili» e che confermano come, se tutto salta, anche i
gruppi del Pd rischiano di andare in pezzi. L’ombra di una scissione al
contrario torna a volteggiare sul Nazareno. Davvero Renzi potrebbe farsi
un partito suo? Bersani non lo esclude: «Può essere».