Corriere 7.12.16
Vero o falso? Pari sono
NEW
YORK In America la discussione sugli effetti perversi delle notizie
false diffuse sui social media, le insinuazioni prive di riscontri
fattuali che attirano più attenzione delle notizie reali, verificate,
monta ogni giorno di più. La stampa denuncia il carattere «virale» della
disinformazione costruita a tavolino, l’università di Stanford pubblica
uno studio dal quale emerge che gli adolescenti — studenti di medie,
liceo e college — non sanno distinguere le informazioni vere dai falsi
costruiti ad arte e nemmeno comprendono bene la differenza tra notizie
giornalistiche e messaggi promozionali. Ma a destra i fan di Trump
obiettano che l’improvvisa attenzione per i «fake», i falsi online, dopo
la vittoria elettorale del candidato repubblicano, è solo un estremo
tentativo dei media tradizionali di nascondere i propri errori e
delegittimare il neopresidente.
Eppure quando, domenica, un uomo
si è presentato armi in pugno e ha cominciato a sparare in una pizzeria
di Washington trasformata da informazioni false messe in rete nella
centrale di un racket di pedofili legato a Hillary Clinton e al Partito
democratico, è divenuto evidente a tutti che, a furia di diffondere
calunnie e notizie false per delegittimare un avversario politico, si
possono alimentare situazioni pericolosissime, rischi mortali.
Beh,
non proprio a tutti: la cosa più impressionante di questo nuovo
episodio dell’era della post verità è che, anche davanti all’evidenza
delle conseguenze nefaste di campagne calunniose, c’è chi ha continuato a
sostenere, in odio ai «mainstream media» più che alla Clinton ormai
uscita di scena, che il racket pedofilo della pizzeria Comet Ping Pong è
reale. L’uomo che ha aperto il fuoco (senza uccidere), sarebbe un
attore reclutato per confondere le acque.
Quello del «Pizzagate»
di Washington è un caso molto significativo perché, al di là
dell’effetto dirompente di falsità e teorie cospirative, mostra la
posizione sempre più difficile nella quale si vengono a trovare i media
tradizionali: giornali, tv e anche i siti più consolidati e credibili
stanno passando da una condizione di minor rilevanza a fronte della
cresciuta impetuosa del «citizen journalism» a quella di bersaglio di
una contestazione globale nella quale sono loro a finire sul banco degli
imputati, anche quando cercano solo di ristabilire la verità dei fatti.
Nel
caso delle accuse alla Comet Ping Pong (avrebbe fornito prostitute e
anche bambini-schiavi a funzionari democratici che formulavano le loro
richieste sotto forma di ordinazioni di cibo usando un linguaggio
cifrato), molte pubblicazioni come il New York Times e il Washington
Post avevano dimostrato, al di là di ogni ragionevole dubbio, che le
storie diffuse in rete erano totalmente inventate.
Ma quelle
storie hanno continuato a circolare. In qualche caso (ma non in quello
della Comet Ping Pong), le accuse di pedofilia legate alla Clinton sono
state rilanciate anche da personaggi di spicco del team Trump come il
generale Michael Flynn, ora scelto dal neopresidente come consigliere
per la sicurezza nazionale. La pizzeria è diventata bersaglio di minacce
di ogni tipo, presto allargatesi anche ai negozi circostanti, mentre le
accuse inventate rimbalzavano da un sito all’altro in base all’effetto
della «echo chamber». Accuse rilanciate a un certo punto anche da un
sedicente deputato della Georgia, Steven Smith. Che poi si è scoperto
essere, in realtà, un avvocato della Florida che con questo stratagemma
si è costruito un seguito di 24 mila follower . Una volta scoperto, se
l’è cavata dicendo che chi lo segue sa che la sua è una parodia.
Non
deve essere parsa tale a Edgar Welch, descritto dai vicini come un
padre adorabile, amante delle scalate e devoto ai valori familiari,
partito in auto dal North Carolina per andare a fare il giustiziere
nella pizzeria di Washington. I fatti parlano chiaro ma per molti non
contano più. Conta di più l’odio per la stampa, demonizzata (e usata) da
Trump durante tutta la campagna elettorale. Una stampa che ora, col
Partito democratico annichilito da una sconfitta elettorale micidiale su
tutti i fronti — Casa Bianca, Camera, Senato, governatori — appare a
molti il vero nemico politico del nuovo presidente.