Corriere 7.12.16
Consulta, i dubbi sul ballottaggio e due sistemi di voto incompatibili
di Giovanni Bianconi
I giudici potrebbero ritenere eccessivo il premio di governabilità al primo partito
ROMA
Dopo il rinvio deciso a settembre in attesa del referendum, la nuova
scadenza è arrivata: il 24 gennaio la Corte costituzionale deciderà il
destino dell’Italicum, la legge elettorale per la Camera dei deputati.
Quel giorno 14 giudici (uno s’è dimesso un mese fa, Giuseppe Frigo di
nomina parlamentare, ma non c’è aria che i partiti scelgano il
successore in tempi brevi) si riuniranno al palazzo della Consulta e
stabiliranno se la riforma è compatibile con la Costituzione. Quella in
vigore dal 1948, non quella del 2016 per la quale era stata pensata,
approvata dalla maggioranza del governo Renzi ma bocciata nella
consultazione popolare.
Non è una differenza da poco, poiché tra
le eccezioni di incostituzionalità denunciate dai giudici ordinari c’è
pure la presunta incoerenza tra il sistema scelto per eleggere i
deputati e quello utilizzato per designare i senatori, in un ordinamento
in cui le due Camere fanno le stesse cose, rimasto intatto dopo la
vittoria del No. Le due differenti leggi elettorali — l’Italicum per
Montecitorio e il cosiddetto Consultellum per palazzo Madama, frutto
della bocciatura del precedente sistema decretato dalla stessa Corte —
potrebbero infatti dare vita a due maggioranze diverse nei due rami del
Parlamento che hanno conservato gli stessi compiti; a cominciare dal
voto di fiducia al governo. Con possibili effetti di irrazionalità, che
possono diventare sinonimo di incostituzionalità. Perché, come è scritto
nella sentenza numero 1 del 2014 che eliminò il cosiddetto Porcellum,
«si rischia di compromettere sia il funzionamento della forma di governo
parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, sia l’esercizio
della funzione legislativa, che l’articolo 70 attribuisce
collettivamente alla Camera e al Senato. In definitiva, si rischia di
vanificare il risultato che si intende conseguire con un’adeguata
stabilità della maggioranza parlamentare e del governo».
Queste
considerazioni hanno un peso non solo sul verdetto che dovrà emettere la
Consulta, ma anche sui calcoli politici per un possibile appuntamento
elettorale che qualche leader vorrebbe fissare già a febbraio:
difficile, se non impossibile, giacché qualunque sarà la decisione dei
giudici costituzionali, dovrebbe essere necessaria una legge, sia pure
di poche righe, che renda omogenei i due sistemi. Solo dopo avrebbe un
senso chiamare gli italiani alle urne.
Il relatore Nicolò Zanon ha
già studiato a fondo le questioni, era pronto a discutere fin da
ottobre, ma nel frattempo è arrivata un’altra ordinanza di rimessione
dal tribunale di Genova, dove si ribadiscono gli argomenti a sostegno
dell’ipotetica incostituzionalità dell’Italicum. Il più rilevante resta
quello del ballottaggio, denunciato come una stortura che viola i
principi di uguaglianza del voto e di sovranità popolare.
Anticipazioni
non ce ne sono, ma è considerata la parte più in bilico della legge da
giudicare; quella che potrebbe saltare con maggiore probabilità. La
Corte infatti non si pronuncerà solo sulla base degli articoli della
Costituzione, ma anche delle sue precedenti sentenze in materia. E
sempre la numero 1 del 2014 ha stabilito dei principi dai quali non si
può discostare. Per esempio che la governabilità del Paese è un
obiettivo che può essere legittimamente perseguito da leggi elettorali
che attribuiscano premi di maggioranza, a patto però che non violino
troppo o del tutto l’altro principio (di pari rilievo costituzionale) da
salvaguardare: «La rappresentanza democratica, sulla quale si fonda
l’intera architettura dell’ordinamento».
Il ballottaggio previsto
dall’Italicum, al quale si accede senza soglie minime, può attribuire la
maggioranza assoluta dei seggi a una lista che nel primo turno è
arrivata seconda con il solo 25 per cento dei consensi, realizzando una
sproporzione che non verrebbe sanata dalla partecipazione popolare al
secondo turno. «Il voto dei cittadini che avessero scelto la lista di
minoranza al primo turno — si legge nell’ultima istanza arrivata da
Genova — finirebbe, con l’esito del secondo turno, per esprimere un voto
di valore più che doppio rispetto a quello espresso dai cittadini che
avessero, invece, votato altre liste».
È un’eccezione che i
giudici ordinari hanno desunto dalla sentenza della Corte a cui si sono
rivolti, e se venisse accolta restituirebbe al Paese un sistema
proporzionale pressoché puro. Dal quale difficilmente si potrebbe
ricavare una maggioranza parlamentare in grado di governare. Questo però
non è un metro di giudizio della Corte, bensì della politica.