martedì 6 dicembre 2016

Corriere 6.12.16
Legge elettorale e data del voto
Le tante insidie sulla nascita del governo
di Francesco Verderami

ROMA La Seconda Repubblica è finita, e tutto lascia immaginare che si stia tornando alla Prima. Non sarebbe solo per effetto del voto referendario, che riesuma il Senato e rende impossibili i governi di coalizione come ai tempi del bipolarismo, ma perché le larghe intese sembrerebbero in prospettiva l’unica formula politica praticabile per opporsi alle forze antisistema. Perciò Berlusconi chiede la proporzionale, dato che «in questo modo non dovremmo temere Grillo»: «È vero che i Cinquestelle hanno il 30% — spiega il leader di Forza Italia — ma gli altri due blocchi potrebbero cercare in Parlamento l’accordo su un programma di legislatura, formando una maggioranza e collaborando nell’interesse del Paese».
Facile a dirsi, più complicato a farsi. Per ripristinare un sistema accantonato da oltre venti anni, al Palazzo serve la legge elettorale e serve un governo che ne accompagni l’iter fino all’approvazione. Ma su questo punto gli interessi e gli obiettivi divergono, siccome l’annuncio delle dimissioni da parte di Renzi ha inserito un’incognita nel progetto di restaurazione del vecchio sistema. In molti, anche nell’opposizione, avevano scommesso (e forse scommettono ancora) sulla permanenza del leader democratico a Palazzo Chigi. Ma cosa accadrebbe se cambiasse il referente? Cambierebbero anche i patti?
Renzi serve al Pd, che rischia altrimenti l’implosione. Serve ai centristi, che non potrebbero spingersi oltre a sinistra. Ma serve anche al Cavaliere, che voleva dargli «una lezione» al referendum per costringerlo al tavolo delle trattative, non per farlo alzare. Che fosse questo l’intento lo si intuisce dalla discussione avvenuta ieri ad Arcore, al rituale pranzo del lunedì, dove Confalonieri — rivolgendosi a Berlusconi — ha detto di confidare che «Renzi non faccia sciocchezze»: «È il momento di tornare alla politica», intesa come esercizio di un’arte caduta in disuso nell’era del bipolarismo muscolare.
Si capirà di qui a breve quale strada prenderà il segretario del Pd, che dopo la sconfitta referendaria dà mostra di aver cambiato linea, mirando non solo ad anticipare i tempi delle elezioni ma anche a sparigliare sulla legge elettorale. È tattica o strategica l’idea che avrebbe sottoposto ad alcuni compagni di partito, prefigurando di andare «entro febbraio» al voto senza cambio di governo? Sarebbe percorribile un percorso a tappe forzate che metterebbe in conto l’attesa per la sentenza della Consulta sull’Italicum e l’immediato ritorno alle urne? Di certo si tratterebbe di un blitz con cui coglierebbe di sorpresa avversari esterni e interni.
È evidente che una simile operazione potrebbe riuscirgli solo restando a Palazzo Chigi. E Renzi, dopo le dimissioni, dovrà pur dare il nome di un suo sostituto quando salirà al Colle da leader del Pd. Ma se il capo dello Stato dovesse registrare durante le consultazioni che non c’è una maggioranza sul sostituto di Renzi? Perché per formare un governo servono i voti centristi al Senato, a meno che Berlusconi non si spinga a fare ciò che dice di non voler fare, offrendo «per spirito di responsabilità» l’appoggio a un gabinetto che vari la legge elettorale. In quel caso il Pd, soprattutto la «ditta», sarebbe disposto a ingoiare (di nuovo) il Cavaliere? La seconda Repubblica è finita, la Prima non è ancora formalmente tornata. Ma i giochi che stanno per iniziare dimostrano che non è mai tramontata.