Corriere 4.12.16
I tormenti di un’Europa che gioca sempre in difesa
di Franco Venturini
Dall’odierno
voto degli italiani e da quello concomitante degli austriaci verranno
forse (è d’obbligo una scaramantica prudenza) gli episodi conclusivi
dell’ennesimo annus horribilis vissuto dall’Europa. Insanguinata dal
terrorismo jihadista, avvilita dalle crescenti divisioni interne sul
fenomeno migratorio e sui rapporti con la Russia, offesa dalla Brexit e
da una marea populista fortemente presente anche al di qua della Manica,
intimorita infine dall’elezione di Trump e dai suoi scomodi propositi,
in questi undici mesi del 2016 l’Europa ha giocato sempre in difesa
senza peraltro riuscire a contenere le minacce che l’assediavano.
Non
deve accadere lo stesso quando le urne italiane e quelle austriache
avranno emesso i loro verdetti. Le due votazioni, beninteso, sono assai
diverse l’una dall’altra. In Italia si vota pro o contro una riforma
costituzionale che in ogni caso non cambierà più di tanto il volto del
Paese. In Austria è in gioco l’elezione del primo presidente di estrema
destra dalla fine della Seconda guerra mondiale, può vincere il
rappresentante di un partito creato da un gruppo di ex nazisti negli
anni Cinquanta, si dovrà verificare fino a che punto Norbert Hofer sarà
riuscito nella sua operazione doppiopetto.
Mentre sono fuori gioco
i due partiti tradizionali socialista e popolare, possono esserci
conseguenze per l’Italia (di sicuro un «muro» al Brennero, forse persino
una richiesta di «riunire» il Tirolo) e possono cambiare gli equilibri
europei se l’Austria andrà a raggiungere il gruppo di Visegrad guidato
dal duo polacco-ungherese. E soprattutto, la lente di osservazione
europea valuterà con una certa ansia l’effetto Brexit e l’effetto Trump
in vista dei prossimi esami elettorali in Olanda e in Francia.
Riflettori
tutti sull’Austria, dunque? No di certo, perché a riequilibrare la
contabilità dei rischi c’è l’incomparabile peso specifico dei due Paesi,
le loro dimensioni assai diverse, il fatto che la popolazione austriaca
è meno di un sesto di quella italiana, la consapevolezza che la nostra
economia è la terza dell’eurozona e che un naufragio dell’Italia
potrebbe far crollare l’intera costruzione europea. Dall’Italia una Ue
con i nervi a fior di pelle si aspetta una garanzia di stabilità per il
«dopo», ed è questo il vero auspicio che ha indotto alcune capitali
europee (e anche quella statunitense) ad esprimere fugaci preferenze di
schieramento. Diventa possibile, allora, l’individuazione delle
responsabilità di ognuno dopo che le urne del 4 dicembre avranno
parlato.
Le istituzioni e le forze politiche italiane (tutte)
avranno la responsabilità di non spingere il Paese verso una
imprevedibilità politica ed economica che non possiamo permetterci se
vogliamo continuare ad avere una voce in Europa e continuare a riceverne
i benefici (sì, i benefici, malgrado le strumentalizzazioni menzognere
in Italia e la catastrofica comunicazione di Bruxelles). E avranno anche
la responsabilità, le nostre forze politiche (tutte) di farci superare
le parole troppo forti pronunciate in una pessima campagna elettorale,
le volgarità troppo avvilenti, le spaccature troppo profonde che
certamente ostacoleranno la ripresa di un dialogo nel dopo referendum. E
non ci consoli l’accostamento al devastante esempio americano, perché
semmai dovremmo marcare una differenza che invece si è vista poco.
In
Austria, a giochi fatti e indipendentemente dal risultato, si porrà il
problema di una nuova leadership e di nuovi programmi nei due partiti
che hanno dormito sugli allori fino al suicidio. Anche perché, chiunque
vada ad insediarsi nella Hofburg che fu sede e simbolo del potere
imperiale di Vienna, nel 2018 ci saranno elezioni legislative che
potrebbero proiettare il nazionalpopulista Heinz-Christian Strache (il
vero ispiratore di Hofer) verso la Cancelleria. E allora l’Oxit
(versione austriaca della Brexit) diventerebbe una concreta possibilità.
Paradossalmente, mentre il temuto afflusso o transito di migranti è
praticamente cessato con il blocco della «via dei Balcani».
E
l’Europa, quali responsabilità avrà da domani? Intanto quella di
prendere atto dei risultati senza prestarsi a catastrofismi
autolesionisti e senza chiudersi come fa da tempo in una fortezza
sbrindellata e destinata a cadere. Più che mai ora che Angela Merkel ha
deciso di essere nuovamente candidata alla cancelleria di Berlino, e che
a Parigi sarà François Fillon ad affrontare Marine Le Pen nella corsa
per l’Eliseo, l’Europa può ragionevolmente sperare in un 2017 meno
traumatico di quanto si era paventato. Ma se il credo della Ue
continuerà ad essere una sopravvivenza senza azione e senza reazione la
condanna a morte sarà soltanto rinviata. Ovunque in Europa, anche in
Italia e in Austria, sono emerse istanze popolari che non sono tutte
distruttive e che non devono essere ignorate. Un progetto per una difesa
più coordinata non può bastare se si continua a litigare sull’unione
bancaria e sulle garanzie per i risparmiatori, se continua a mancare una
politica coerente sui flussi migratori che investono Grecia e Italia,
se l’Europa continua a mostrarsi distratta mentre all’interno è in forse
il consenso dai suoi popoli e all’esterno minacciano di sgretolarsi
l’ordine del Dopoguerra e quello, in realtà mai nato, del dopo Muro.
Italia e Austria siano uno stimolo per l’Europa, l’ennesimo avvertimento
che paura e paralisi non possono durare fin dopo le elezioni tedesche
in calendario tra dieci mesi.