Corriere 4.12.16
La lunga lista delle gaffe
I masai
sponsor, il refuso, il paragone con Pinochet, l’accusa di ducetto:
abbiamo visto e sentito di tutto in questa (troppo) lunga campagna
elettorale.
di Pierluigi Battista
La peggiore
campagna elettorale mai conosciuta in Italia in epoca repubblicana?
Certamente la più lunga, estenuante, sfibrante. Inevitabilmente
ripetitiva, bisognosa di additivi emozionali per sfidare la monotonia
dell’eterno ritorno del sempre uguale. Una campagna referendaria
costellata di invettive, gaffes, urla, rotture. Tanti mesi fa Maria
Elena Boschi ammoniva quelli del No che se avessero insistito si
sarebbero comportati come CasaPound. L’Anpi per rappresaglia scomunicò
una riforma costituzionale descritta come l’anticamera di una feroce
dittatura fascista. Qualche mese dopo gli argini del buon senso
sarebbero stati travolti. Il presidente dell’Anpi di Latina ha detto che
Renzi è «peggio» del Duce. Il Procuratore generale di Bologna ha
equiparato i sostenitori del Sì ai repubblichini di Salò. Quando ancora
la buriana doveva cominciare, Confindustria si è portata avanti e ha
incaricato il suo ufficio studi di dimostrare che con il No l’Italia
avrebbe conosciuto l’aumento di 430 mila unità dei suoi poveri,
nientemeno.
Una campagna elettorale a zig zag. Quando il Financial
Times ha tifato per il Sì, quelli del No hanno detto che i «poteri
forti» stavano con il nemico. Quando l’ Economist ha parteggiato per il
No, quelli del Sì hanno detto che i «poteri forti» stavano con il
nemico. Poi c’è stata la bella e il Financial Times ha ipotizzato che la
vittoria del No avrebbe procurato il fallimento di otto banche. E
l’allarmismo ha raggiunto l’apice. I «poteri forti»? Un po’ frastornati.
Del resto lo zig zag è stato anche il sentiero imboccato da Matteo
Renzi che prima ha giocato la carta anti-Europa, con tanto di bandiera
europea nascosta nell’armadio, con l’immagine di Bruxelles cattiva che
bloccava i soldi per il terremoto, poi ha incassato l’endorsement di
Wolfgang Schäuble, il cattivo per eccellenza, l’euroinflessibile
spietato sui conti pubblici italiani. Mistero.
Nessun mistero e
nessuno zig zag per Beppe Grillo, che quando parte la gara dell’insulto
più greve, si sente in dovere di vincere, anzi di stravincere. E quindi
ecco quelli del Sì additati come «serial killer», ecco l’insulto becero
rivolto a Renzi paragonato a una «scrofa ferita». Oppure la battuta
quasi surreale con cui Grillo minaccia Renzi di denunciarlo per «abuso
di credulità», o anche il paragone un po’, anzi decisamente bislacco con
la dittatura di Pinochet (quella cilena, non quella «venezuelana» di
Luigi Di Maio) che il premier starebbe preparando per andare «oltre» il
tiranno del Cile. Variopinti gli aggettivi con cui i pasdaran del Sì
hanno chiosato e accompagnato «l’accozzaglia» che secondo il premier
spingerebbe per un nuovo governo sostenuto dalle forze del No (ma è un
referendum non un turno di elezioni politiche). Mentre invece si è via
via ingrossato, ultimo Romano Prodi, il fronte capeggiato da Massimo
Cacciari del Sì a una riforma considerata molto negativamente («una
puttanata» secondo il lessico cacciariano). E non si sa se questo fronte
comprende anche i kenioti per il Sì, raggruppati da un imprenditore di
Malindi coadiuvato da un gruppo di Masai.
Poi c’è, da parte dei
vertici del Comitato del No, la denuncia preventiva di brogli non ancora
tecnicamente effettuati da parte del Sì sui voti degli italiani
all’estero: pronto il ricorso, ma solo se ad essere determinanti saranno
quelli che all’estero dovessero confortare il presidente del Consiglio
(e se invece accadesse il contrario, il ricorso sparirebbe?).
È
divampata anche, forse per la prima volta in queste proporzioni, la
guerra del web, tutto un dannarsi attorno a falsi in Rete, manovre via
social network, complotti per la propalazione di bufale. Menzogne (ora
ribattezzate «post verità») sulla presunta scelta di Agnese Renzi di
votare No contro il marito premier: una scemenza dalla vita breve. Poi
la bufala del ritrovamento di centinaia di migliaia di schede già
contrassegnate con il Sì: falso assoluto. In compenso ha fatto molto
scalpore, addirittura con seguito di denuncia avviata da Luca Lotti nei
pressi di Palazzo Chigi, lo smascheramento di un falso account su
Twitter, indicato come strumento diabolico al servizio del Movimento 5
Stelle, in realtà gestito dalla consorte buontempona di Renato Brunetta.
Ma è la paura che fa fare simili errori. La paura di molti del No della
«deriva autoritaria», la paura di molti del Sì alla deriva grillina cui
si darebbe una spinta in caso di vittoria dei contrari. E allora
persino Massimo D’Alema, laico impenitente, sostiene, scherzando ma non
troppo, che «la Madonna è per il No». I fanti non si sa cosa votino. E i
santi?