Corriere 3.12.16
Renzi: «Tanto centrodestra sta con noi»
Il premier: «Con loro cambieremo il Paese»
di Maria Teresa Meli
ROMA È l’ultimo, estenuante, giorno di campagna elettorale. Matteo Renzi non si concede un attimo di riposo: «È una sfida difficilissima, ma apertissima. La giochiamo sul filo dei voti e possiamo vincere. Sì, può darsi che perdano anche questa. Possiamo portare a casa questa spettacolare rimonta». Anche perché, sottolinea il premier, «c’è pure tanta parte del centrodestra che sta con noi e noi questo Paese lo cambieremo insieme». Così, con il successo del Sì, l’Italia «sarà leader in Europa».
Già, perché Renzi punta alla vittoria, conquistando «quegli indecisi che sono determinanti». Del resto sa che da quando è sceso in campo il trend si è invertito. E sta attento a coagulare il maggior numero di consensi possibili. Tant’è vero che si affretta a smentire che con il successo del Sì andrà alle elezioni anticipate, come sostengono quelli del No: «Fantapolitica che non prendo nemmeno in considerazione», taglia corto. Dunque, un venerdì frenetico, quello di Renzi: la diretta Facebook «Matteo risponde», poi i discorsi a Palermo e a Reggio Calabria, le radio, le tv e infine la «sua» Firenze. Lì dove, quel «due dicembre che mi è rimasto nel cuore», accettò la sconfitta alle primarie contro Pier Luigi Bersani e prese «l’impegno di ripartire», conquistando sia il partito che il governo. Quasi a lasciar intendere che anche in caso di vittoria dei No, lui non mollerà la presa e continuerà a essere protagonista della scena politica: «Sono il segretario del partito di maggioranza».
Insomma, non si potranno dare le carte senza Renzi. Certo, se dovesse vincere il No il premier non rimarrebbe a Palazzo Chigi «a coprire gli inciuci», perché, come spiega ai collaboratori, «solo chi non mi conosce non capisce che farò Renzi sino all’ultimo giorno e non resterò a galleggiare, non fa per me». Ma pubblicamente la parola dimissioni il presidente del Consiglio non la pronuncia più. Fa capire quali saranno le sue mosse, se dovesse perdere questa battaglia, però quel termine non lo dice. Spiega che ci saranno «ripercussioni». A Palermo osa di più: «Posso lasciare lunedì mattina», osserva, ma vedendo le reazioni della platea che grida No, aggiunge ironico: «Era un modo di dire, un finale poetico».
Lo storytelling renziano in questa fase non prevede la parola sconfitta, di cui le dimissioni sarebbero la logica conseguenza. È piuttosto sul fatto che solo lui e la sua riforma sono «garanzia di stabilità», che il premier insiste per convincere gli indecisi, che «sono ancora tantissimi» e vincere così anche questa difficile battaglia. Hanno perciò destato sorpresa, ieri, i lanci delle agenzie che riportavano una frase pronunciata da Graziano Delrio in televisione: «Se vince il No credo che Renzi si dimetta, non è una minaccia è una questione di coerenza». Un’affermazione che ha stupito anche molti dirigenti del Pd. Non è quella la linea che si sono dati i renziani. Quindi è escluso he l’abbia concordata con il presidente del Consiglio. Ma qualche tempo dopo le stesse agenzie hanno rettificato: il ministro delle Infrastrutture ha detto soltanto che Renzi andrà «da Mattarella a consegnare la propria disponibilità».
Una frase sicuramente ben più soft. Però l’attenzione e le reazioni che hanno suscitato quei primi lanci di agenzia la dicono lunga sulla tensione di quest’ultima giornata. Il presidente del Consiglio ha invitato tutti i suoi a non inasprire troppo i toni, a «unire e non a dividere», a sottolineare che «comunque vada ha vinto la democrazia». Però il premier sa che la sfida è ad alto rischio: «Se perdiamo tornano gli altri, perché non è che, per esempio, sul Titolo V della riforma stiamo cambiando quello che ha fatto De Gasperi. Cambiamo quello che ha fatto D’Alema». E se fosse per lui, spiega Renzi, farebbe una legge anche per limitare a due i mandati da premier.
Renzi è conscio anche dei rischi ai quali può andare personalmente incontro: «Ci stiamo giocando l’osso del collo, sappiamo bene che la casta più schifosa è contro di noi», dice ai collaboratori. Poi pubblicamente aggiunge: «Se avessi voluto pensare a me avrei evitato questa terribile prova del referendum, ma chi me lo faceva fare?». Invece il premier è in ballo, «perché non sono attaccato alla poltrona come altri», spiegava in un comizio, «e sono stato chiamato da Napolitano per fare le riforme». E ieri notte la giornata di Renzi non era ancora finita: arrivavano gli ultimi, importanti, sondaggi.