il manifesto 2.12.16
Italo Sbrogiò, l’anima del «comitato autonomo» di Porto Marghera
Addii.
Il 27 novembre se n’è andato uno dei protagonisti che lavorò alla
costruzione del Sessantotto. Diresse le lotte degli operai del
Petrolchimico, tra gli anni Sessanta e Settanta
di Toni Negri
Il
27 novembre, la sera, Italo Sbrogiò se n’è andato. La malattia contro
la quale da alcuni anni lottava, ha avuto il sopravvento. Un mese fa era
tuttavia riuscito a presentare la sua autobiografia: La fiaba di una
città industriale. 1953/1993. Quarant’anni di lotte (Casa Editrice el
squero). Si era sentito vicino alla fine e aveva avuto il timore di non
arrivare a tempo a farlo. Così se n’è andato uno dei migliori fra i
molti compagni che hanno costruito il lungo Sessantotto italiano.
ERA
NATO nel maggio del 1934, aveva cominciato a lavorare come
metalmeccanico a 16 anni e dal 1952 era operaio nel Petrolchimico di
Porto Marghera. Pensionato nel 1989, ha continuato ad occuparsi del
«controllo di qualità» come consulente per la stessa impresa. Comunista,
dal 1960 fu uno dei primi ad entrare nella Commissione Interna della
fabbrica come rappresentante della CGIL, nel 1962 fu eletto nel Comitato
Federale e nel 1964 fu consigliere comunale di Venezia. Si dimise dal
partito e fu espulso dal sindacato alla fine dei ’60.
Italo, dal
1963, diresse le lotte degli operai del Petrolchimico ed in particolare
quel ciclo di «lotte strepitose» che a Porto Marghera si svolsero dal
’67 all’agosto del ’70 – lotte nelle quali ebbero una funzione
preminente i compagni di Potere Operaio dentro e fuori le fabbriche di
Porto Marghera.
Furono le prime lotte, quelle del Petrolchimico di
Porto Marghera, nelle quali la parità salariale fra operai ed
impiegati, cioè fra tutti i lavoratori in fabbrica, e poi il rifiuto
della contrattazione sindacale della nocività, divennero obiettivi
primari della lotta di classe in fabbrica. Sono le rivendicazioni che
insorsero alla Pirelli, all’Alfa Romeo e infine, nell’«autunno caldo»
della Fiat, configurando l’aspetto comunista di un enorme movimento di
trasformazione politica. Italo era cosciente di tutto ciò. Rideva quando
qualcuno lo contestava dicendogli che erano rivendicazioni economiche e
non politiche. Gli spiegava pazientemente che la diseguaglianza non era
un insulto alla morale ma il modo di organizzare lo sfruttamento. E se
il «maoista» non voleva comprenderlo, gli accarezzava la zucca con un
scappellotto.
Italo Sbrogiò fu, con altri eccezionali compagni,
l’anima del «comitato autonomo» di Porto Marghera che, pur legato a
Potere Operaio, fu sempre un’istituzione operaia indipendente.
Il
comitato fu il luogo nel quale le avanguardie operaie si collegarono con
studenti ed intellettuali esterni alla fabbrica per condurre analisi ed
intervento nelle lotte di fabbrica e sociali, proponendo la costruzione
di una forza che si proponesse il problema del potere politico nella
società industriale. Italo fu per gli operai un compagno e un capo, per
gli studenti e gli intellettuali un maestro e un esempio di militanza. A
tutti noi insegnò a leggere Il Capitale come un testo che aveva
direttamente a che fare con la lotta di fabbrica e ci apprese la lotta
di classe come praxis: guerra da condurre ogni giorno e in ogni
situazione, presa di coscienza da approfondire in ogni momento, lotta da
estendere in maniera continua ovunque si presentasse il comando del
capitale e del suo Stato, costruzione di istituzioni di potere.
Dopo
i ’60, gli anni ’70 furono per Italo anni di consolidamento del modello
organizzativo costruito nel triennio rosso ’68-’70. Il comitato,
«l’assemblea autonoma» vissero un periodo di solido impianto in fabbrica
e di estensione sociale della loro influenza nelle scuole e nella
società. Quando nel 1979, la repressione si abbatté furiosamente contro i
compagni dell’Assemblea – e molti furono incarcerati – Italo mantenne
vivo il discorso autonomo, da tutti rispettato in fabbrica e fuori. Non
fu facile avere fratelli messi in galera dagli ex-compagni picisti.
Eppure oggi Italo c’è ancora, fra noi, nel nostro ricordo, nella nostra
ammirazione – e degli altri anche la cenere è volata via.
POICHÉ
ERA UN COMUNISTA Italo voleva la liberazione dal lavoro. E come molti
dei suoi compagni non doveva far molti sforzi per sapere che cosa fosse.
Talvolta
attendevamo l’uscita del turno di notte sullo spiazzo del
Petrolchimico, alle 22:00, e si andava in una di quelle famose osterie
dell’hinterland veneziano a far bisboccia – e non potete immaginare
quanta! La gioia di vivere era quella di chi si era liberato dalla
veneta condizione contadina e di chi voleva distruggere la puzza di
cloruro e la miseria proletaria della fabbrica. Abbasso il latte che il
padrone ti dava per disinfettarti. Evviva la grande mangiata di pesce e
il buon vino nostrano che toglie ogni tristezza. L’eccedenza
nell’amicizia e nell’allegria sono una dote che Italo e i suoi compagni
lasciano a chi vuole costruire un mondo nuovo.
Com’è difficile
scrivere per un fratello che se n’è andato. I sentimenti ti soffocano.
L’ammirazione ti toglie la parola. Come si fa a dire per un giornale –
quando ti leggono persone che non hanno mai incontrato Italo – come si
possono esprimere quell’amore fraterno, quelle passioni comuni,
quell’esercizio di intelligenza di cui Italo fu, con bonomia e rigore,
maestro? L’ultima volta che vidi Italo, ero – qualche anno fa – in
ospedale con una brutta polmonite. Venne a trovarmi con una mascherina
sul volto, nel reparto «infettivi» nel quale stavo. Ci facemmo subito un
gran risata sulle cautele che gli erano imposte dopo decenni di veleni
respirati a Porto Marghera.
E LUI MI RACCONTÒ a che livello di
infamia era ormai giunto il comando del padrone nella liquidazione di
quel che restava nella fabbrica… E lamentava l’infezione della terra di
Porto Marghera, in profondità, fino a 100 metri di zolle non più
fertili. Il padrone non rovina solo la vita dei lavoratori ma anche la
terra e il cielo. Ecco una cosa che non bisogna mai dimenticare, mi
dicevo ascoltando Italo: il capitale si chiama sempre padrone ed è il
minimo, odiarlo.
Mi scrive un amico molto più giovane emozionato
per la morte di Fidel. Ma aggiunge: ho letto di Italo Sbrogiò. L’ho
conosciuto sui vostri libri, da vicino, dunque. Ci salutano due
comandanti in poche ore.
Il testo è stato pubblicato anche sul sito euronomade.info