Corriere 1.12.16
Francis Fukuyama al Corriere : «Indebolito l’ordine mondiale post bellico E Mosca e Pechino già ne approfittano»
«Così il mondo liberale può andare in frantumi»
«Dobbiamo prendere atto che la minaccia più grande viene dall’interno: sono i populismi e i nazionalismi».
intervista di Massimo Gaggi
Il politologo Fukuyama: ma la vera minaccia alle democrazie liberali viene dall’interno
NEW
YORK «Temevamo che la democrazia potesse essere minacciata dalla
crescita impetuosa dell’influenza di potenze autoritarie come la Cina.
Invece dopo la Brexit e, soprattutto, dopo l’elezione di Donald Trump,
dobbiamo prendere atto che la minaccia più grande viene dall’interno:
populismi e nazionalismi minacciano di mandare in frantumi il nostro
mondo liberale, aperto e tollerante».
Francis Fukuyama ha corretto
ormai da anni la sua previsione di una vittoria totale e irreversibile
delle politiche liberali che, dopo la caduta del Muro di Berlino, aveva
tradotto nella formula della «Fine della Storia», titolo di un libro di
straordinario successo. Dopo il voto americano il cambio di rotta dello
storico conservatore di Stanford diventa più radicale: arriva a
esprimere il timore di una degenerazione dei sistemi politici
democratici dell’Occidente e di una disintegrazione dell’ordine post
bellico che ha dato stabilità al mondo dal 1945 in poi.
Basta un imprenditore populista alla Casa Bianca per far saltare gli equilibri planetari?
«Quegli
equilibri erano minacciati da tempo, oltre che dall’atteggiamento
aggressivo assunto da Russia e Cina, anche dalla crescita dei
nazionalismi in Europa. Gli Usa facevano, però, da diga. Ma se anche la
potenza egemone entra in questo vortice, tutto cambia. L’ordine attuale
si basa su una rete di accordi multilaterali che garantiscono la
sicurezza e regolano i rapporti economici. Trump ha messo in discussione
la validità tanto della Nato quanto delle alleanze in Asia con Paesi
come Giappone e Corea. In più vuole azzerare e rinegoziare gli accordi
commerciali e ha già cestinato il Tpp, creando un vuoto che Pechino sta
già colmando».
Trump è anche un imprenditore abituato a trattare
su tutto. Non potrebbe limitarsi a rinegoziare le alleanze per ottenere
condizioni più favorevoli agli Usa?
«Certo, è una speranza. Trump
ha una doppia personalità. Da un lato il negoziatore, dall’altro il
personaggio lunatico che cede all’ira, minaccia vendette. La vera
domanda è: cosa farà quando si accorgerà che per via negoziale non può
ottenere quello che ha promesso agli elettori: sarà pragmatico e
responsabile o comincerà a punire i suoi avversari innescando una
spirale di rappresaglie? Non lo sappiamo. In tempi normali si potrebbe
anche sperare per il meglio. Ma questi non sono tempi normali: il
fenomeno Trump rischia di alimentare i nazionalismi, i movimenti
autoritari e xenofobi che si agitano in Europa, mentre la Cina si sta
già muovendo: col Tpp sarebbe stata tagliata fuori, mentre ora, caduto
l’accordo trans-Pacifico, propone agli altri asiatici patti che tagliano
fuori gli Stati Uniti. E poi c’è l’insidia di Putin».
C’è chi dice che se la Nato non si fosse allargata a Est, Putin non avrebbe reagito.
«Un
errore ammettere i Paesi Baltici nella Nato? Un bell’argomento per gli
storici, ma ormai la questione è irrilevante. Estonia, Lettonia e
Lituania sono dentro e godono della protezione dell’articolo 5 del
Trattato atlantico. Ma la cosa non sembra interessare molto a Trump che
ha quasi giustificato l’occupazione della Crimea da parte di Putin. Il
nuovo presidente mostra di ignorare molti aspetti della politica estera,
ma i suoi commenti continui e sempre a senso unico, favorevoli a Putin
fino all’elogio, giustificano il sospetto che il leader del Cremlino
abbia qualche “hidden leverage”, qualche potere di pressione nascosto su
Trump: forse si era indebitato con soggetti russi per mantenere a galla
il suo impero economico».
Sospetti pesanti. Teme una prova di forza russa nella regione baltica?
«Secondo
uno studio della Rand Corporation, senza difese adeguate, Mosca
potrebbe occupare quelle Repubbliche in 60 ore. Non credo lo farà,
l’articolo 5 ha ancora una sua credibilità. Le prime vittime dei
tentativi di Trump di pacificazione con Mosca saranno Ucraina e Georgia:
sono fuori dall’ombrello Nato».
Lei teme per le democrazie
liberali. Ma sono i meccanismi democratici, quelli che stanno dando
spazio al populismo. Trump è stato abile a intercettare le ansie del
«forgotten man», gli sconfitti della globalizzazione. È così anche
altrove.
«In un certo senso l’esito di questo voto indica che la
democrazia funziona: c’era un’area sempre più vasta di disagio che i
partiti tradizionali non sono stati capaci di rappresentare. Trump sì.
In Europa vediamo movimenti simili. Danno voce a disagi reali, ma non
offrono soluzioni democratiche realisticamente praticabili. E ovunque
assistiamo alla rivolta delle campagne e dei non scolarizzati rispetto
alle città delle persone più istruite. Negli Usa l’interno del Paese
contro le metropoli della costa, in Gran Bretagna le città
deindustrializzate contro Londra, ma vale anche per l’Ungheria dove
Orban è popolare ovunque meno che a Budapest o per il turco Erdogan che
ha soprattutto il sostegno delle campagne e lo stesso Putin,
popolarissimo ovunque meno che a San Pietroburgo e a Mosca».