giovedì 1 dicembre 2016

Corriere 1.12.16
Un’Italia indebolita dalle polemiche referendarie
di Massimo Franco

Si avverte una punta di stanchezza perfino nello spargimento dei veleni. È come se la campagna referendaria avesse stancato tutti: compresi i diretti interessati. Dire che si stanno abbassando i toni è, purtroppo, esagerato. Ma cresce la consapevolezza di arrivare alla consultazione dopo polemiche che hanno sovraesposto il Paese sul piano internazionale, e sfibrato gli schieramenti. Perfino la nota con la quale Romano Prodi, fondatore dell’Ulivo, annuncia il suo Sì, è accompagnata da critiche esplicite contro la campagna referendaria; e, senza citarlo, a Matteo Renzi e alla sua «modesta riforma costituzionale».
Frasi tipo: mancanza di «profondità e chiarezza»; una «rissa che ha indebolito l’Italia all’estero per ragioni di politica interna». È chiaro che Prodi non ce l’ha solo con lui. Renzi ringrazia, e con lui tutti i dem governativi. Ma come sostegno al Sì, ha l’aria di essere quasi d’ufficio. L’incertezza sul risultato del 4 dicembre rimane. E dopo le voci di una rimonta, si registra maggiore cautela da parte dello stesso premier. «Domenica non si vota su Matteo Renzi, che ci siano delle conseguenze è un altro film», dice parlando di sé in terza persona. E ancora: «Comunque vada, vince la democrazia». Parole significative.
Nel governo, la preoccupazione è palpabile. Il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è tornato a consigliare l’alleato di non dimettersi se vince il No. Anche un avversario come l’ex segretario del Pd, Pierluigi Bersani, sembra invitarlo a non lasciare Palazzo Chigi. Ma con minore convinzione. «Il governo non c’entrava e non c’entra con le riforme. Se vince il No Renzi vada avanti. Se non vuole», lo avverte, «c’è sempre una maggioranza in Parlamento». È un ammonimento velato a non tentare di far saltare il tavolo e di mettersi di traverso.
In qualche maniera, Bersani lascia capire che nei gruppi parlamentari una corsa verso le elezioni anticipate troverebbe ostacoli corposi. Insomma, si guarda al «dopo». E si cercano di prevenire e circoscrivere le incognite di una situazione dai contorni imprevedibili. L’impressione, però, è che nessuno sia in grado di controllare gli sviluppi del voto referendario. L’ombra più pesante rimane quella di una resa dei conti nel Pd. Il fatto che Renzi sia segretario e premier rende il dopo-referendum una fase turbolenta: che vinca o che perda.
Tra congresso e conati di scissione, si intravedono dinamiche destinate a scaricarsi sull’esecutivo; e che rischiano di rendere più complicato il tentativo di ricucitura al quale sarà chiamato il Quirinale. Senza riferirsi esplicitamente al referendum, ieri Sergio Mattarella, da Bergamo, ha ricordato che l’Italia è forte quando è unita. Ma sa che il 5 dicembre erediterà una nazione divisa artificiosamente. L’allarme che si è creato intorno all’esito della consultazione è destinato a lasciare strascichi polemici. Per smaltirli, occorrerà tempo.