Corriere 15.12.16
Pechino e Taiwan La storia di due Cine
risponde Sergio Romano
Il
governo cinese ha tirato le orecchie al presidente eletto statunitense
Donald Trump perché avrebbe risposto a una telefonata di congratulazioni
della presidente di Taiwan, un piccolo Paese, ma ricco e sviluppato.
Pechino, si sa, rivendica da tempo il possesso di quell’isola-Stato. Non
stupisce più che i cinesi reagiscano; stupisce invece che gli Stati
Uniti sostengano militarmente un Paese come Taiwan che formalmente non
riconoscono da decenni, al punto da esporsi moltissimo con la seconda
potenza economica (e militare?) mondiale. Mi può aiutare a capire se
diplomazia, soprattutto in casi come questo, faccia rima con ipocrisia?
Fabrizio Amadori
Caro Amadori,
Non
credo che esistano rischi particolari. Dopo la nascita della Repubblica
popolare cinese nel 1949, gli Stati Uniti riconobbero formalmente
l’esistenza di una Cina in esilio nell’isola di Formosa (come era stata
chiamata dai portoghesi nel XVI secolo) e le permisero di avere un
seggio permanente al Consiglio di sicurezza sino a quando sperarono di
potere isolare e indebolire il regime comunista di Pechino. Quando la
guerra del Vietnam, l’influenza di Henry Kissinger su Richard Nixon e il
consolidamento della Repubblica popolare indussero Washington a
modificare la propria linea, fu subito chiaro che la Cina continentale,
sostenuta da altri Paesi, avrebbe preteso il seggio del Consiglio di
sicurezza. Dopo qualche iniziale resistenza, gli Stati Uniti permisero
che una mozione dell’Onu, nell’ottobre del 1971, privasse Taiwan del suo
seggio. Conservarono fino al 1978 il Patto di reciproca sicurezza che
avevano stipulato con Taiwan nel 1954 e lo denunciarono soltanto quando
decisero di stabilire con Pechino rapporti stabili e formali nel 1978.
Ma non smisero, anche negli anni seguenti, di trattare l’isola come un
alleato, di proteggerla con la Settima flotta e di garantirle forniture
militari che l’avrebbero difesa da un attacco improvviso.
I cinesi
furono realisti e capirono che non sarebbe stato né semplice né
opportuno impadronirsi di Taiwan con un colpo di mano. Naturalmente la
loro politica cambierebbe se il nuovo presidente americano modificasse
sostanzialmente la linea degli Stati Uniti. Ma ho l’impressione che per
il momento si tratti soltanto di schermaglie e improvvisazioni nello
stile di Donald Trump. Aggiungo soltanto una curiosità. Negli ultimi
decenni Taiwan ha perduto il riconoscimento internazionale delle
maggiori potenze e, più recentemente, anche quello della Santa Sede, a
cui preme soprattutto stabilire rapporti formali con Pechino. Ma l’isola
è ancora riconosciuta come Cina da un nugolo di piccoli e piccolissimi
Stati fra cui, salvo mutamenti degli ultimi tempi, sei in Oceania, tre
in Africa, sei nell’America centrale, cinque nei Caraibi e uno
nell’America del Sud (Paraguay).