il manifesto 15.12.16
Tutti gli stratagemmi della «Trumpsistance»
American
 Psycho. Con l’elezione di Donald Trump alla presidenza, aumentano 
proteste, eventi e «autodifese». In prima fila ci sono le donne 
americane
di Marina Catucci
NEW YORK L’elezione 
del nuovo presidente degli Stati uniti ha prodotto un’ondata di 
neologismi: l’ultimo arrivato è Trumpsistance, una crasi tra «Trump» e 
«Resistance», ovvero «resistenza a Trump». Sin dal giorno immediatamente
 successivo all’elezione, le strade delle principali città americane, 
New York in testa, si sono riempite di cortei spontanei che hanno visto 
sfilare migliaia di persone, mentre le donazioni ad enti non governativi
 che proteggono i diritti civili hanno assistito a un picco inusitato di
 offerte.
Con il passare delle settimane e l’avvicinamento al 20 
gennaio, giorno del giuramento e del passaggio di consegne tra 
l’amministrazione Obama e quella Trump, la protesta è diventata 
Trumpsistance e ha preso una forma nuova.
PROTESTE E 
MANIFESTAZIONI di dissenso in America si sono evolute negli ultimi 20 
anni, da NotInOurName (Nion) che nell’era di Bush jr era riuscita a 
portare più di un milione di persone per strada per dire no alla guerra,
 nell’epoca di una mobilitazione mondiale contro interventi armati e 
globalizzazione, la prima delle quali, il 15 febbraio del 2003 aveva 
avuto come epicentro New York, fino ai movimenti recenti di Occupy Wall 
Street e Black Lives Matter.
Se Nion cercava sempre, tramite il 
sito, di coordinarsi in modo globale mirando a manifestazioni 
trasversali nel globo, Occupy si organizzava comunicando all’ultimo 
momento luoghi, percorsi e azioni previste in giro per la città in modo 
da sorprendere e disperdere la polizia di Bloomberg che li vedeva come 
il fumo negli occhi. Black Lives Matter, invece, agisce in modo ancora 
diverso; le manifestazioni di Blm scaturiscono da tristi eventi di 
cronaca che vedono cittadini afroamericani vittime della violenza 
razzista, come nel caso del sedicenne Trayvon Martin, o della polizia, 
come in innumerevoli altri casi.
LA TRUMPSISTANCE è un’altra cosa 
ancora, perché si ripropone di essere capillare, continua, puntuale, 
onnipresente e per questo stanno nascendo calendari, serie di 
appuntamenti che vengono resi noti con largo anticipo e molto 
pubblicizzati. Il più importante tra questi è di sicuro la «Million 
Women March», corteo di donne contro Trump di cui si parla già da 
settimane e che è prevista a Washington il 21 gennaio, giorno successivo
 all’insediamento.
Ma non solo Washington, perché per chi non può 
andare nella capitale, sono previste manifestazioni in altre città e 
cortei simili spuntano in tutto il paese, previsti per lo stesso giorno.
 Un altro evento di Trumpsistance femminile si è appena svolto a New 
York lunedì 12 dicembre: migliaia di donne di tutte le età hanno 
marciato dal Trump International Hotel alla Trump Tower in segno di 
protesta contro il presidente eletto e le posizioni della sua nascente 
amministrazione riguardo i diritti delle donne. La marcia era parte di 
una campagna nazionale; ci sono state marce simili in molte città, tra 
cui Los Angeles, Portland, Houston. Secondo la pagina Facebook, la 
campagna mira a condannare «ogni tentativo di erodere i diritti delle 
donne e di altri gruppi vulnerabili». A New York la marcia è iniziata a 
mezzogiorno con un intervento di Eve Ensler, l’attivista femminista e 
autrice di «I monologhi della vagina».
ENSLER HA INVITATO LA FOLLA
 a «stare in piedi e portare avanti questa rivolta e a protestare, 
proteggere, pianificare, profetizzare». Per il 19 dicembre, giorno del 
voto dei delegati al presidente, sono previste manifestazioni davanti 
alle varie Trump Tower disseminate in giro per l’America, giusto per 
ribadire che l’agenda che si va formando non è supinamente accettata da 
tutta la popolazione americana.
Anche i benefit, le raccolte di 
fondi per sostenere le realtà resistenti si moltiplicano, come quelle a 
sostegno dei Sioux di Standing Rock, visto che il corpo degli ingegneri 
dell’esercito ha già annunciato che farà passare per altre vie l’accesso
 alla Dakota Pipeline. Alla luce di questa dichiarazione i manifestanti 
sono rimasti sul posto, a Standing Rock, consapevoli del fatto che la 
lotta per impedire di far passare la pipeline attraverso le terre dei 
nativi non è terminata, e hanno bisogno di esser sostenuti. Molti di 
questi benefit per Standing Rock sono imponenti ed intervengono artisti 
del calibro della super star di Broadway Lin-Manuel Miranda, cosí come 
per i benefit a sostegno dei Planned Parenthood, consultori familiari 
abilitati a praticare aborti, fortemente osteggiati da chiunque 
nell’amministrazione Trump.
LO SLOGAN REDS NEED GREEN, «il rosso 
ha bisogno del verde», riassume il vivificato socialismo americano, 
organizzatore di corsi di resistenza ambientalista e in procinto di 
pianificare una serie di scioperi dei consumi in concomitanza con ogni 
votazione che coinvolgerà scelte ambientali.
Ma forse uno degli 
aspetti più interessanti della Trumpsistance riguarda un percorso 
formativo nuovo, più che le manifestazioni di piazza. In giro per gli 
Usa, specie nelle librerie, si stanno organizzando corsi per imparare a 
reagire in modo efficace e non violento se ci si ritrova ad assistere ad
 un caso di molestie razziste, xenofobe, in modo da sapere come operare 
una de-escalation senza ricorrere alla violenza e far sentire protetta 
la vittima dell’attacco.
 
