giovedì 15 dicembre 2016

Corriere 15.12.16
Un Pd confuso si prepara a elezioni entro giugno
di Massimo Franco

L’impressione è che il Pd e Matteo Renzi stiano faticosamente cercando di ritrovare la lucidità dopo la sconfitta referendaria. L’istinto dell’ex premier di andare al congresso anticipato e regolare i conti con la minoranza si sta calmando: al punto che probabilmente il congresso non si farà prima della fine del 2017. Renzi rischiava di doversi dimettere anche dal partito per renderlo possibile, e i giochi interni lo avrebbero ulteriormente indebolito.
Non solo. Una dichiarazione improvvida del ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, «una scivolata», la chiama, lascia capire che ci sarebbe un accordo per andare alle urne a giugno. Obiettivo: far saltare il referendum sul Jobs act promosso dalla Cgil. Sono segnali di un nervosismo palpabile, che si aggiungono ai veleni che affiorano tra i dem sulla conferma dell’ex ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, come sottosegretaria a Palazzo Chigi. Ma sembrano anche la conferma che in questa fase il Pd si presenta confuso e diviso.
Renzi medita e rimugina nella quiete di Rignano. Ma il partito comincia a ragionare in una prospettiva che non ruota più intorno alla sua leadership: non solo, almeno. Il risultato è che il premier Paolo Gentiloni ottiene la fiducia del Senato con un governo consapevole della propria fragilità, e assediato da opposizioni elettrizzate. Lo sforzo è di andare avanti il più possibile, per approvare entro febbraio o marzo un nuovo sistema elettorale, ed evitare censure troppo plateali dalla Commissione europea sui conti pubblici.
Presto l’Italia potrebbe registrare lo smantellamento di uno dei pochi risultati rivendicati dal governo precedente. Vedersi bocciare, dopo le riforme costituzionali, anche la legge sul mercato del lavoro presentata come un fiore all’occhiello, sarebbe la disfatta. La previsione è che la Corte costituzionale sia intenzionata ad ammettere il referendum della Cgil e farlo votare in primavera. Ma il Pd vorrebbe scongiurarlo. «Se si vota prima del referendum, il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile», ha dichiarato ufficialmente Poletti.
Di fatto, sarebbe rinviato di un anno. Ma interrompere la legislatura per timore di un altro responso popolare sa di autogol. Le parole del ministro del Lavoro sono state accolte dalle reazioni furibonde delle opposizioni, e dal silenzio imbarazzato di quasi tutto il suo partito: quasi, perché il governatore della Toscana, Enrico Rossi, parla di «suicidio» del Pd se avalla le sue posizioni. Ma al voto a giugno la maggioranza pensa davvero. «Si può fare», conferma il vicesegretario, Lorenzo Guerini. Chissà se a Gentiloni verrà dato il tempo anche solo per cominciare davvero.