mercoledì 14 dicembre 2016

Corriere 14.12.16
La trincea di Verdini: «Matteo ci ha mollati, sono appesi a un filo»
di Monica Guerzoni

ROMA Via Poli è un porto di mare, acque a dir poco agitate e voci concitate che filtrano dal portone al quarto piano. Sono le 15.35, i «responsabili» che Paolo Gentiloni non ha voluto al governo aspettano Denis Verdini per capire se un approdo c’è. Com’è il clima? «Entusiasmo alle stelle! — ride amaro il senatore Mariano Rabino, il cui sciarpone a fiori non s’intona con la delusione — . La politica alla fine è un gioco: si vince e si perde». E i parlamentari di Ala (per ora) si sentono perdenti.
Valentina Vezzali, che sembrava destinata al podio di ministra, spunta dal corridoio e si asciuga gli occhi, ma di certo è stanchezza o raffreddore. Enrico Zanetti (ex viceministro dell’Economia) vuole che sia chiaro: «Qui quello fottuto sono io». Poi gli squilla lo smartphone: «Ciao mamma... Sto bene, ma la politica può fare brutti scherzi».
Un’ora dopo nella sede a due passi dalla Camera, dove i verdiniani sono in consiglio di guerra permanente, il clima è già mutato. Sull’uscio si affaccia il siciliano Giuseppe Ruvolo: «Evoluzione, evoluzione continua». È la parola d’ordine che il leader ha appena scandito nella sala riunioni. Alla Camera i deputati di Ala non hanno partecipato al voto e oggi, al Senato, il portavoce Rabino lascia aperti i giochi: «Con Gentiloni avevamo parlato di una presenza multipla al governo. Abbiamo il diritto di sedere in Consiglio dei ministri, come tutti». E Vincenzo D’Anna, con orgoglio: «Le briciole del pasto non le vogliamo». Traduzione di Lucio Barani: «Non voteremo la fiducia a Palazzo Madama». Per ora.
Finché il leader, in toscanaccio stretto, chiede ai suoi di stare tranquilli: «Nessuno ha la ricetta in tasca, procederemo un passo alla volta. Al Senato è già mancato il numero legale. Non hanno i numeri e qualcuno devono andarlo a prendere con l’ambulanza... Se non è appeso a un filo come il governo Prodi, poco ci manca». C’è chi avanza dubbi e rilancia sospetti. Non sarà un gioco delle parti fra te e Renzi, Denis? «Magari — smentisce il leader di Ala —. Io ero convinto che Matteo mi avrebbe dato una mano per farci entrare al governo, ma la mano non è arrivata. Ha scelto di garantire i suoi e ha mollato i miei».
Non è finita. Verdini, che oggi alle 10.30 vede i senatori, racconta che lunedì vedrà Gentiloni e gli chiederà quel «riconoscimento politico» che per adesso non ha avuto. Posti, poltrone? Sul pianerottolo il portavoce del leader smentisce: «Non chiediamo nulla, se non il riconoscimento del lavoro svolto in questi 17 mesi. È iniziato un percorso, che potrebbe essere lungo».
Ed eccolo, il percorso. Una voce da dentro fissa in alto l’asticella del risarcimento per i due mancati posti di ministro: «Al Senato Fedeli e Finocchiaro hanno liberato la vicepresidenza dell’Aula e la presidenza della commissione Affari costituzionali». Roba grossa, che nei sogni dei verdiniani potrebbe sommarsi a cinque o sei seggiole di sottogoverno. «E pazienza — chiosa un deputato — se non saranno quei letti matrimoniali che speravamo...».
Calma e gesso, Verdini è furioso, ma non è uno che si arrende. Aspetta «un segnale, un chiarimento politico». E si mostra sicuro che arriverà. La strategia sta scritta nel pallottoliere, che l’ex braccio destro di Berlusconi maneggia da sempre con sorprendente abilità. Ecco Saverio Romano, che ha perso lo scranno dell’Agricoltura: «Per non fare un’operazione politica Gentiloni si è infilato in questo Vietnam. Le correnti del Pd non gli hanno consentito di blindare i numeri al Senato, ma la matematica non è un’opinione. Come fara il premier, quando 30 senatori si metteranno in missione?». Convinti che Gentiloni abbia «lasciato uno spiraglio», sperano ancora di entrare al governo «dalla porta principale». Altrimenti, sospira Ignazio Abrignani, vorrà dire che «la serenità politica che Ala ha sempre garantito a Renzi, a Gentiloni non serve più» .