mercoledì 14 dicembre 2016

Corriere 14.12.16
I sussurri del «conte» in un’Aula semivuota
Lo chiamano già tutti il conte. Venti minuti di sussurri, mentre i deputati compulsano i telefonini. Cicchitto: «Mi ricorda il conte zio: troncare, sopire»
di Aldo Cazzullo

Lo chiamano già tutti il conte: «Mo’ sentiamo il conte», «vediamo che dice il conte». La Boldrini lo annuncia: «Prende la parola l’onorevole Paolo Gentiloni Silveri». «Viendalmare» si sente nitida una voce dalla tribuna dei fotografi. Venti minuti di sussurri. Non un fremito, tranne quando all’inizio per l’emozione fa crollare il microfono. Non un applauso, salvo quando cita «il rispetto delle istituzioni». Non una polemica. Una deputata della destra a un tratto alza la voce; ma sta telefonando. Cicchitto: «Mi ricorda il conte zio di Manzoni. Troncare, sopire, padre molto reverendo; sopire, troncare». Brunetta evoca altre reminiscenze liceali: «Avete studiato Mimnermo? L’uomo è il sogno di un’ombra…».
Il neopremier dice cose ragionevoli nel disinteresse più assoluto dell’Aula semivuota. «L’amicizia con gli Stati Uniti…». I ministri parlano tra loro con la mano davanti alla bocca per nascondere il labiale, come i calciatori quando criticano l’allenatore. «Lo storico legame con la Nato…». I deputati danno mano all’iPad. Li osserva perplessa una scolaresca in visita. Giachetti si è portato un libro. «La green economy…». Il ministro dell’Ambiente Galletti whatsappa.
A Gentiloni viene riconosciuto un solo merito: non essere Renzi. Per l’uscente neppure un applauso, neanche quando il successore ne elogia «la coerenza». Tre anni fa l’uomo di Rignano si insediava al Senato: mani in tasca, discorso a braccio: «Questa è l’ultima volta che i senatori votano la fiducia a un governo». Si sbagliava; ma parlava da leader politico. Il sollievo per esserselo tolto dai piedi è palese, non solo nella sinistra pd.
Non ci sono neppure Berlusconi, Salvini, Grillo. L’assenza dei grillini e l’arrivo di ex parlamentari alza l’età media. Citazioni cinematografiche: il conte Tacchia con Montesano, il conte Mascetti di Amici miei. «Io lo chiamerei semmai conte Camomillo — sogghigna Bossi —. Ma lui è un nobiluomo, io sono uno del popolo».
Gentiloni consulta gli appunti: «Governo di responsabilità…». I parlamentari compulsano freneticamente i siti, in particolare Dagospia . «Andremo avanti fino a quando avremo la fiducia…». La Bindi manda sms, Fioroni ha le cuffie alle orecchie. «Linea dura con l’Est europeo…». Il tesoriere Bonifazi arriva dopo un quarto d’ora e non si affretta, sale a salutare Cuperlo, cerca un posto adatto, mentre il neopremier si avvia sussurrando alla conclusione. Cirino Pomicino lo promuove duca conte, come quello di Fantozzi.
Cicchitto e Pomicino non sono il nuovo che avanza, ma sono tra i pochissimi qui che hanno fatto studi regolari. Cicchitto: «Sconfitta chiama sconfitta. Ho consigliato a Renzi di stare fermo. Tanto qui gli unici che vogliono davvero votare sono i grillini». Pomicino: «Il conte trisavolo passò alla storia per il patto tra cattolici e liberali. Ora il conte pronipote può siglare il nuovo patto: tra i democratici del Pd e i cattolici di Forza Italia e del nuovo centro. Visto il temperamento flemmatico, mi pare più adatto di Renzi a guidare la nuova fase». E la Lega? «Andrà con Grillo».
L’atmosfera si fa più vigile nel passaggio sul terremoto. Gentiloni assume impegni importanti. Ma non c’è nulla da fare: il carisma del terzo classificato alle primarie di Roma, dietro Ignazio Marino e David Sassoli, è quello che è. Bersani reclina il capo, dà l’impressione di assopirsi, gli occhiali scivolano sul naso; solo il roteare dei pollici segnala lo stato di veglia. Il marcato accento romanesco del neopremier non aiuta: «Il libro bianco della Difesa…». «L’era della post verità…». «L’impoverimento della classe media…». Tabacci è l’unico a scrivere ancora con carta e penna. «La sofferenza del Mezzogiorno…». Il ministro Galletti chatta a due mani come un adolescente.
Deputati e osservatori sono entusiasti. «So’ inebriato» commenta Diego Bianchi in arte Zoro. «Un discorso da requiem» dice il capogruppo della Lega Giorgetti. «Pareva una commemorazione» conferma un decano dei commessi. La Boschi coerentemente in nero. Unica macchia di colore la giacca della Finocchiaro, rossa quasi come i capelli della Fedeli. La presenza di Lotti allo Sport non cambierà le sorti del Paese; ma qualunque cosa farà il nuovo governo rischia di essere addossata a Renzi.
Alla fine, il sospirato applauso. L’unico tra i ministri a battere le mani con impegno è Padoan, l’unico ad alzarsi per le congratulazioni è Minniti, grato per la promozione agli Interni. Nel frattempo i parlamentari guadagnano la buvette con la velocità di centometristi alla finale olimpica. L’on. Carbone, non pago dei danni fatti con il tweet del «ciaone», abbraccia e bacia un altro promosso, De Vincenti. L’amico Realacci: «Gentiloni è come me, un ex movimentardo che ha letto l’articolo 54 della Costituzione: gli incarichi pubblici si esercitano con onore e disciplina».
Anche le ministre lo difendono. «Dopo la scoppola che abbiamo preso al referendum vi aspettavate tuoni e fulmini?» sorride la Lorenzin. La Pinotti: «Lo stile dimesso era voluto. Giudicatelo da quel che farà». E Orlando: «Non voleva certo prendere applausi. Ora si deve fare la legge elettorale. Noi del Pd faremo un tentativo sul Mattarellum». Brunetta: «Ma li avete visti? Questo Parlamento non farà nessuna legge. La farà la Consulta». Galletti ha la batteria scarica. La scolaresca esce attonita.