Corriere 14.12. 16
la disuguaglianza non aspetta la politica
di Dario Di Vico
Nel
dibattito politico occidentale è ormai largamente accettata la tesi
dello stretto collegamento tra incremento delle disuguaglianze e nuovi
orientamenti elettorali. C’è in verità qualche osservatore che replica
(per altro giustamente) come in virtù del grande balzo di Pechino la
povertà nel mondo sia diminuita, peccato però che i sistemi elettorali
restino nazionali e che di conseguenza le nuove middle class cinesi non
possano votare per la stabilità dei regimi democratici occidentali.
Senza una quadratura globale del circuito disuguaglianze-politica non
rimane evidentemente che rimboccarsi le maniche e affrontare i problemi.
Con un’avvertenza: non occorre solo dotarsi di una bussola per la
navigazione in alto mare e quindi mettere insieme le analisi sulla
critica della globalizzazione, l’impatto delle tecnologie e la
ricognizione dello stato delle democrazie, bisogna anche metter giù
un’agenda sul breve. Perché se la storia si è messa a correre, le
disuguaglianze sembrano aver fretta anche loro e se non intravedono
quantomeno dei correttivi rischiano di generare contraccolpi
irreversibili. Evito accuratamente di usare il termine «populismo»
perché nell’ultimo periodo è diventato un contenitore di troppe cose
diverse tra loro, compreso il vecchio tic della superiorità
antropologica che come è noto porta a definire deplorevoli tutti quelli
che non fanno parte dell’universo dei colti.
Vale la pena anche
ricordare come la disuguaglianza italiana, poi, abbia suoi tratti
peculiari. Da noi non ci sono figure come l’operaio bianco del Wisconsin
pro-Trump o la tuta blu di Sunderland pro-Brexit, anzi i metalmeccanici
italiani pochi giorni fa hanno firmato unitariamente — compresa la Fiom
dunque — un contratto di lavoro giudicato come una svolta nella storia
delle relazioni sindacali italiane. La disuguaglianza italiana è
composta in primo luogo da una generazione dimenticata (gli under 35) e
poi presenta come capitoli prioritari le disparità Nord-Sud e il tasso
di povertà. Per quanto riguarda il Mezzogiorno è saggio attendere le
linee di intervento che saranno esplicitate dal neoministro Claudio De
Vincenti, quanto alle politiche contro l’indigenza è presto detto: è
stata approvata una legge delega ma mancano i decreti legislativi e le
risorse stanziate sono chiaramente insufficienti. L’agenda è fin troppo
chiara.
Tornando invece ai temi della disoccupazione giovanile non
si può non ripartire dal jobs act , concepito a suo tempo da Matteo
Renzi come una ricetta che avrebbe cambiato il corso degli avvenimenti
(ma non è andata così). La ripresa è stata assai più fragile di quanto
avesse immaginato, il rimpallo di cifre tra Istat, ministero del Lavoro e
Inps ha generato la sensazione di poca trasparenza sui numeri e il
risultato è stato che il consenso giovanile ha soffiato sulle vele del
No. Le previsioni sulle assunzioni per il 2017 non sono molto
incoraggianti: secondo dati diffusi proprio ieri dall’agenzia Manpower
per i primi tre mesi dell’anno nuovo solo il 3% delle imprese consultate
stima di aumentare l’organico, il 90% non si attende variazioni e il 9%
prevede addirittura un calo. È vero che saranno investiti 730 milioni
per il solo 2017 per la totale decontribuzione delle assunzioni under 29
e al Sud ma siamo comunque nell’ambito di quelli che i tecnici
definiscono stimoli emergenziali. Per incidere sulla disuguaglianza e i
suoi riflessi, psicologici prima e politici dopo, serve una prospettiva
strutturale: ai nostri giovani va data concretamente la sensazione che
dal giorno in cui terminano la scuola alla mattina in cui finalmente
trovano un lavoro la Società degli Adulti non li perde d’occhio. È
questa percezione che manca e che genera un disorientamento totale, la
paura di non farcela mai. Cosa può fare la politica o addirittura un
governo transitorio per circoscrivere questo dramma o almeno invertire
la tendenza? Può far molto, può dedicarsi anima e corpo a organizzare
l’orientamento dei giovani, la loro formazione, a evitare
disallineamenti tra domanda e offerta, a invitare le imprese a mettersi
al passo con la digitalizzazione dei processi e l’incremento del
capitale umano. È quasi un’agenda del buonsenso, ci vuole solo la
volontà di tradurla in fatti.