Il Sole 14.12.16
Cassazione. Hotel dei religiosi, niente tasse ridotte
L’appartenenza alla categoria degli enti di beneficenza da sola non basta
Per l’accesso ai benefici va considerata la natura dell’attività effettiva
di Valerio Vallefuoco
La
Cassazione consolida il suo orientamento sostanziale sui benefici sulle
agevolazioni delle riduzioni dell’imposta sul reddito delle persone
giuridiche in favore degli enti equiparati a quelli di beneficenza o
istruzione come gli enti ecclesiastici, con fini di religione o di
culto.
In questo caso la Suprema Corte ha accettato la tesi
dell’agenzia delle Entrate secondo cui il riconoscimento
dell’applicabilità della riduzione di imposta non può essere concesso
secondo un criterio meramente soggettivo quale la qualifica dell’ente,
ma è necessario considerare la natura dell’attività svolta in concreto
dall’ente stesso.
La Sesta sezione civile tributaria con la
sentenza n. 25586/2016 depositata ieri ha infatti sancito che per
ottenere il beneficio della riduzione al 50% dell’aliquota previsto
dall’articolo 6 del Dpr 601 del 1973 per tali enti non è sufficiente che
gli stessi siano stati costituiti con tali finalità, ma è necessario
che venga dimostrata nel merito l’attività da loro esercita
concretamente.
In particolare dall’accertamento non dovrà emergere
l’eventuale carattere commerciale né in via esclusiva né tantomeno in
via principale. Qualora sia riscontrata un’attività commerciale la
stessa dovrà essere però di tipo non prevalente e in rapporto di
strumentalità con i fini di culto e religione, senza limitarsi al
perseguimento del procacciamento dei mezzi economici.
La Suprema
Corte ricorda, infatti, che le norme agevolative hanno carattere
eccezionale e possono applicarsi esclusivamente alle attività
specificatamente previste dalla legge. In caso contrario infatti
l’attività dovrebbe considerarsi come attività diversa e pertanto
sottoposta all’ordinaria tassazione.
Sullo stesso filone
interpretativo la Corte di cassazione richiama i suoi recentissimi
precedenti in tema di Ici ove le agevolazioni sono riconosciute per lo
svolgimento di attività di assistenza o equiparate con modalità non
commerciali .
In questo senso l’accertamento, secondo la
Cassazione tributaria, va effettuato in concreto attraverso la verifica
della tipologia della clientela servita, del costo del servizio erogato
che deve essere significativamente più basso di quello di mercato e
della durata di apertura della struttura.
Il tutto anche per
evitare che tali benefici agevolativi di riduzione delle imposte possano
alterare la libera concorrenza del mercato trasformandosi nella
sostanza in aiuti di Stato vietati sia dalla normativa nazionale che
comunitaria.
Nel caso trattato dalla Cassazione nella sentenza
25586/2016, l’Agenzia delle Entrate aveva provato che l’attività di
pensionato gestito dall’ente era una struttura ricettiva che costituiva
di fatto un’attività alberghiera, aperta al pubblico gestita in modo
imprenditoriale a prezzi che seguivano logiche di mercato.
Pertanto
la Corte ha cassato la sentenza di secondo grado della Commissione
Tributaria Regionale rinviando la sentenza ad un’altra sezione per la
verifica secondo criteri rigorosi sui presupposti oggettivi
dell’agevolazione tesi a una indagine sull’effettiva attività esercitata
dall’ente.
Le conclusioni che si traggono dalla sentenza appena
emanata sono due: il primo che non basta l’istituzione di un ente con
finalità di beneficenza ed istruzione per ottenere le agevolazioni
tributarie e il secondo che bisogna indagare seriamente sull’attività in
concreto svolta dall’ente medesimo.
Sia i contribuenti che gli
Uffici finanziari hanno quindi oggi delle linee guida su cui adeguarsi, i
primi per ottenere e i secondi per riconoscere o disconoscere le
riduzioni o le esenzioni di imposta disciplinate per legge, che sono da
considerarsi eccezionali e quindi potranno essere applicate solamente
per le attività specificatamente previste.