Corriere 13.12.16
Quella frattura sociale dietro la vittoria del No
di Aldo Schiavone
Credo
che la migliore spiegazione del voto del referendum — e la più
tempestiva — si trovi negli ultimi dati appena diffusi dall’Istat. Un
italiano su quattro sfiora la soglia della povertà, e la proporzione nel
Mezzogiorno si avvicina al 50%, mentre cresce ancora il livello della
diseguaglianza, indicato dalla concentrazione della ricchezza: la
fotografia impietosa di un’Italia disequilibrata e ferma — l’accidentato
retroterra in cui si colloca l’esito del referendum. In completa
coincidenza con queste cifre, il risultato della consultazione mostra un
Paese lacerato almeno lungo due versanti: e non si tratta di lesioni
politiche. Queste sarebbero il meno: un referendum divide, si sa; e se
no, cos’altro? Le fratture appaiono invece di altra natura, e assai più
pericolose. Sono rotture sociali che spezzano in profondità, dividono
mondi che si stanno reciprocamente perdendo.
La geografia (e la
storia), innanzitutto. Per una Milano dove il Sì ha vinto (sia pure di
misura), c’è la valanga dei No del Mezzogiorno: oltre il 70% in Sicilia,
in Sardegna; quasi il 70 in Campania, il 67 in Puglia, in Calabria;
oltre il 65 in Basilicata. E poi, l’età. Per un elettorato di adulti
sopra i cinquantacinque anni che hanno scelto in prevalenza il Sì, c’è
stata una maggioranza schiacciante di giovani al di sotto dei
trentacinque che hanno votato in massa No (più di quattro su cinque: un
dato impressionante, ben sottolineato da Renato Benedetto sul Corriere
). Questa non è politica — o meglio: è politica scarnificata e ridotta
all’osso, puro riflesso delle condizioni esistenziali; e temo che la
Costituzione, purtroppo, c’entri poco: è il segno di una società che sta
disintegrando i suoi legami, nazionali e generazionali, e si spacca
secondo il destino sociale dei luoghi e delle classi di età: da un lato
donne e uomini maturi o addirittura anziani, abitanti del centro Nord,
dove sono riusciti a coltivare ancora speranze, prospettive, lavoro, e
vivono in un contesto sociale che nell’insieme tiene; dall’altra tutto
il resto, e soprattutto giovani e Sud, che si sentono del tutto
abbandonati. Con il suo No, questa parte del Paese ha detto chiaro che
non ce la fa, e che non vede luce, oltre il buio del presente.
Fra
i grandi Paesi dell’Occidente, l’Italia è quello che sta scontando in
modo più duro e severo gli effetti della globalizzazione. Non è solo la
fatica nel riassorbire la crisi del 2008. C’è qualcosa di più
strutturale che incide, e che viene da molto lontano: la recessione
degli ultimi anni l’ha finora nascosto nella sua ombra. Ma adesso che
quest’ultima si è quasi completamente dissolta (almeno oltre i nostri
confini), ecco che affiora in tutta evidenza. Ed è la difficoltà di
reggere il passo imposto all’economia globale dalle trasformazioni post
industriali, senza lasciare sole e indietro intere regioni e intere
generazioni. È la fragilità di un sistema produttivo che non integra
dentro di sé abbastanza tecnologia da riqualificare e proteggere in modo
diffuso il lavoro presente sul mercato. È l’inadempienza di uno Stato
che per decenni ha fatto a pezzi la propria scuola e la propria
università, e non sa da tempo cosa significhi investire davvero in
formazione e ricerca.
L’errore di Renzi — un errore micidiale, per
uno come lui, che ha la politica nel sangue — è stato di non rendersi
conto davvero della situazione del Paese, e di volere però, nello stesso
tempo, proporsi agli italiani con un profilo alto, di chi non si
accontenta di galleggiare, ma vuole guidare e risolvere. Fra le sue
dichiarazioni e le asprezze della vita quotidiana di milioni e milioni
di cittadini — la maggioranza degli italiani — si è aperto così uno
scarto, una dismisura che ora il presidente dimissionario sembra
interpretare come «odio», ma che è solo delusione, unita al fastidio per
l’ostentazione di un ottimismo della volontà che è diventato
improponibile e stucchevole, se confrontato con i conti della realtà. Se
Renzi vorrà ripartire, è dallo stato del Paese e dalle sue dolorose
verità che dovrà farlo.