Corriere 12.12.16
C’è miseria dietro la grandiosità. Il vuoto scintillio del narcisista
di Daniela Monti
«Il
tipo grandioso è quello che si immagina più facilmente: spaccone,
arrogante, prepotente, pronto al disprezzo, esibizionista. Vuole la
ribalta e se la prende. Il secondo è una forma più insidiosa. Non si
mette al centro del palco, ma non tollera che gli altri lo facciano. Ha
un’idea grandiosa di sé ma non la espone. Attenzione però: nell’angolo
meno illuminato in cui si ritira, cova la pretesa che gli altri
riconoscano il suo essere speciale». Quante persone che conosciamo hanno
queste caratteristiche (e quanti lettori vi riconosceranno se stessi)?
Il narcisista «è ovunque e può essere chiunque», collega di lavoro,
compagno di università, fidanzato, avvocato, operaio, medico, politico
(e l’uso del maschile è una convenzione perché il narcisismo non è una
malattia riservata agli uomini).
Giancarlo Dimaggio, psichiatra e
psicoterapeuta, in L’illusione del narcisista. La malattia nella grande
vita (Baldini&Castoldi) racconta questa tipologia umana con cura
dei dettagli e passione da entomologo, non saggio scientifico ma
raccolta di storie ed esperienze cliniche con lo stesso comune
denominatore: l’infelicità o, meglio, la «sofferenza bestiale» dei
malati di narcisismo.
Non c’è niente di male nel volere il massimo
dalla propria vita e, «se presente in grado moderato», il narcisismo
può aiutare a farsi largo: a tutti piacciono le persone che si
presentano splendenti, carismatiche, grondanti fiducia in se stesse e
con talenti all’altezza delle proprie ambizioni. Qual è allora il
confine che separa quello che tutti vorremmo (un po’) essere dal
patologico? Il narcisista, spiega Dimaggio, è l’essere meno empatico del
creato, indifferente alle persone care, bufalo che cammina sui
sentimenti degli altri, rubacuori seriale spietato, pronto a schiacciare
chiunque purché le sue miserie non vengano esposte alla gogna.
Miserie,
sì. Dietro lo scintillio del successo (che non sempre il narcisista
raggiunge, «narcisismo e successo non sono sinonimi, il narcisismo senza
talento è pura maledizione») emerge la realtà di persone piene di
rabbia, passive, «che faticano così tanto per ottenere l’approvazione
degli altri che hanno dimenticato, da tempo immemore, cosa piaceva
loro». Così il libro corregge molte idee comuni che ci siamo fatti nel
faccia a faccia quotidiano con questa genia: 1) il problema dei
narcisisti non è l’autostima grandiosa, quella è solo un meccanismo di
compenso che li protegge (poco) dalla vulnerabilità e dalla sensazione
strisciante di non valere nulla e che nulla abbia un senso; 2) il cuore
del narcisismo non è neppure l’ambizione, piuttosto la competizione,
vero motore della loro vita; 3) lungi da essere i più tenaci e
focalizzati sull’obiettivo, i narcisisti mollano prima degli altri negli
studi e nella carriera: spesso non ci provano nemmeno e, anche se ci
provano, man mano che il tempo passa la frizione fra l’immagine
grandiosa di sé e quello che realmente ottengono li ferisce,
conducendoli alla paralisi; 4) in amore sono distanti, freddi,
nell’emanare gelo c’è l’essenza dell’intimità narcisistica. La loro più
grande abilità? L’uscita di scena. Per chi sta loro vicino l’effetto è
sentirsi una nullità.
Raccontata in questo modo, facendo luce su
ciò che succede una volta scesi dal palcoscenico, la corazza luccicante
dei narcisisti si è ridotta a una crosta. La verità è che la loro è
«un’esperienza di vuoto, di annichilimento, fragilità, terrore
primordiale, mancanza di senso, spegnimento, piattezza, noia,
inconsistenza — scrive Dimaggio —. Finché il narcisista combatte,
compete, sfida e possibilmente vince (o perde e accusa gli altri di aver
truccato i dadi) è vivo, attivo, energico. Appena si rompe il
meccanismo, stop. Si spegne, inizia l’era della stasi, del tempo
arrestato». Entrare in terapia serve? Spesso, non sempre. E il monologo
di un «narcisista curato» con cui si chiude il libro dà la misura della
vastità del percorso che si può compiere.