martedì 13 dicembre 2016

Corriere 12.12.16
C’è miseria dietro la grandiosità. Il vuoto scintillio del narcisista
di Daniela Monti

«Il tipo grandioso è quello che si immagina più facilmente: spaccone, arrogante, prepotente, pronto al disprezzo, esibizionista. Vuole la ribalta e se la prende. Il secondo è una forma più insidiosa. Non si mette al centro del palco, ma non tollera che gli altri lo facciano. Ha un’idea grandiosa di sé ma non la espone. Attenzione però: nell’angolo meno illuminato in cui si ritira, cova la pretesa che gli altri riconoscano il suo essere speciale». Quante persone che conosciamo hanno queste caratteristiche (e quanti lettori vi riconosceranno se stessi)? Il narcisista «è ovunque e può essere chiunque», collega di lavoro, compagno di università, fidanzato, avvocato, operaio, medico, politico (e l’uso del maschile è una convenzione perché il narcisismo non è una malattia riservata agli uomini).
Giancarlo Dimaggio, psichiatra e psicoterapeuta, in L’illusione del narcisista. La malattia nella grande vita (Baldini&Castoldi) racconta questa tipologia umana con cura dei dettagli e passione da entomologo, non saggio scientifico ma raccolta di storie ed esperienze cliniche con lo stesso comune denominatore: l’infelicità o, meglio, la «sofferenza bestiale» dei malati di narcisismo.
Non c’è niente di male nel volere il massimo dalla propria vita e, «se presente in grado moderato», il narcisismo può aiutare a farsi largo: a tutti piacciono le persone che si presentano splendenti, carismatiche, grondanti fiducia in se stesse e con talenti all’altezza delle proprie ambizioni. Qual è allora il confine che separa quello che tutti vorremmo (un po’) essere dal patologico? Il narcisista, spiega Dimaggio, è l’essere meno empatico del creato, indifferente alle persone care, bufalo che cammina sui sentimenti degli altri, rubacuori seriale spietato, pronto a schiacciare chiunque purché le sue miserie non vengano esposte alla gogna.
Miserie, sì. Dietro lo scintillio del successo (che non sempre il narcisista raggiunge, «narcisismo e successo non sono sinonimi, il narcisismo senza talento è pura maledizione») emerge la realtà di persone piene di rabbia, passive, «che faticano così tanto per ottenere l’approvazione degli altri che hanno dimenticato, da tempo immemore, cosa piaceva loro». Così il libro corregge molte idee comuni che ci siamo fatti nel faccia a faccia quotidiano con questa genia: 1) il problema dei narcisisti non è l’autostima grandiosa, quella è solo un meccanismo di compenso che li protegge (poco) dalla vulnerabilità e dalla sensazione strisciante di non valere nulla e che nulla abbia un senso; 2) il cuore del narcisismo non è neppure l’ambizione, piuttosto la competizione, vero motore della loro vita; 3) lungi da essere i più tenaci e focalizzati sull’obiettivo, i narcisisti mollano prima degli altri negli studi e nella carriera: spesso non ci provano nemmeno e, anche se ci provano, man mano che il tempo passa la frizione fra l’immagine grandiosa di sé e quello che realmente ottengono li ferisce, conducendoli alla paralisi; 4) in amore sono distanti, freddi, nell’emanare gelo c’è l’essenza dell’intimità narcisistica. La loro più grande abilità? L’uscita di scena. Per chi sta loro vicino l’effetto è sentirsi una nullità.
Raccontata in questo modo, facendo luce su ciò che succede una volta scesi dal palcoscenico, la corazza luccicante dei narcisisti si è ridotta a una crosta. La verità è che la loro è «un’esperienza di vuoto, di annichilimento, fragilità, terrore primordiale, mancanza di senso, spegnimento, piattezza, noia, inconsistenza — scrive Dimaggio —. Finché il narcisista combatte, compete, sfida e possibilmente vince (o perde e accusa gli altri di aver truccato i dadi) è vivo, attivo, energico. Appena si rompe il meccanismo, stop. Si spegne, inizia l’era della stasi, del tempo arrestato». Entrare in terapia serve? Spesso, non sempre. E il monologo di un «narcisista curato» con cui si chiude il libro dà la misura della vastità del percorso che si può compiere.