martedì 13 dicembre 2016

Corriere 12.12.16
«Congiuntivo addio: non è un dramma»
La grammatica è questione di neuroni
Francesco Sabatini, presidente onorario della Crusca: «Un bambino impara una parola ogni ora, la lingua è natura. E si evolve»
«Prima di noi perso da inglesi, francesi e spagnoli»
di Paolo Di Stefano

L’eterna battaglia in difesa del congiuntivo a rischio di estinzione? Ebbene, Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, invita a una «minore schizzinosità» nel suo nuovo libro Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso (Mondadori). «Credevo che stava», il congiuntivo soppiantato dall’indicativo, «non è un dramma». Quanto agli anacoluti, li usava già Manzoni.
«La lingua è dentro di te, tu sei tra le sue braccia». Le parole di Mario Luzi, poste in epigrafe, riassumono bene la prospettiva del nuovo libro di Francesco Sabatini Lezione di italiano. Grammatica, storia, buon uso (Mondadori). Quale prospettiva? «La lingua verbale — dice Sabatini — entra in noi naturalmente dalla nascita e diventa lo strumento ineguagliabile per la nostra crescita culturale».
Presidente onorario dell’Accademia della Crusca, linguista, filologo, lessicografo, autore, con Vittorio Coletti, di un fortunato Dizionario della lingua italiana , nel tono confidenziale più adatto a una materia che si intende porgere in modo piano attraverso dieci «dialoghi» e altrettanti «inviti», ma senza semplificazioni eccessive, Sabatini espone subito la tesi del libro rivolgendosi a un lettore vicino e curioso: «Sapevi che, quando avevi tre o quattro anni, il tuo cervello aveva già fatto silenziosamente l’“analisi grammaticale” e l’“analisi logica” (come poi si chiamano a scuola) dei discorsi captati dal tuo orecchio?». Sabatini sa come si comunica con i non addetti ai lavori, del resto ogni domenica, a «Unomattina», offre ai telespettatori un «pronto soccorso linguistico» che oltre a dare consigli grammaticali è anche una sorta di percorso storico-culturale.
Cominciamo dalla fine (del libro) sgombrando il campo dal buon uso. Ci sono quattro psicodrammi del parlante italiano: «Casi che infiammano gli animi e che a molti tolgono il sonno», li definisce Sabatini. Quali sono? L’eterna questione del congiuntivo, difeso con appelli e impegnate campagne di salvaguardia. Ebbene, il presidente onorario della Crusca invita a una «minore schizzinosità». Nei costrutti indipendenti il congiuntivo resiste, per esempio nella frase: «Sapessi che dolore!». Nelle frasi cosiddette «completive» tende a essere sostituito dall’indicativo: «credevo che stesse» diventa spesso «credevo che stava», ma è un’alternanza presente sin dalle origini della lingua italiana (risale a Dante e anche più indietro). Idem in certe subordinate, tipo: «Se mi chiamavi, venivo ad aiutarti». È la tendenza del parlato: non facciamone un dramma. «In inglese, in spagnolo e in francese il congiuntivo non c’è più — ricorda Sabatini — diciamo che l’alternanza segna una differenza di stile non di correttezza, come per prima disse, sessant’anni fa, una filologa rigorosissima, Franca Ageno». Non c’è da fare drammi neanche sugli anacoluti (li usava già Manzoni), sui pleonasmi (idem), sulle frasi segmentate («A lui, gli piaceva»), sui pronomi quali lui e lei usati come soggetti (dal Duecento fino a Tomasi di Lampedusa sono ricorrenti), sul gli polivalente (inteso anche come plurale e femminile). La storia della lingua aiuta a capire perché certe abitudini, che a orecchio ci appaiono errate, errate non sono. Dunque, rilassiamoci, almeno nelle situazioni informali.
«Bisogna rispettare la lingua ma evitando atteggiamenti aristocratici», avverte Sabatini. E se gli chiedi qual è l’italiano migliore con cui abbiamo a che fare oggi, risponde: «Quello degli scienziati, un italiano bello e pacato, come quello di Rubbia per esempio». La fotografia sociolinguistica dell’Italia non è proprio confortante. Sabatini individua tre strati: una fascia popolare (nella quale sono confluiti anche in maggioranza gli immigrati); un livello medio, fatto di professionisti nei più diversi campi, abbastanza sicuri nell’uso dell’italiano, ma spesso portati al tecnicismo fuori contesto; uno strato più alto e consapevole (coloro che occupano posizioni di autonomia: insegnanti, ricercatori, magistrati eccetera). Sono strati che si caratterizzano per il diverso grado di padronanza della lingua con un altrettanto diverso grado di responsabilità linguistica. Perché esiste anche una responsabilità linguistica: si pensi al peso degli insegnanti nell’avvicinarsi ai giovani ma anche alla responsabilità dei personaggi pubblici che parlano in tv e non solo, magari con il loro snobismo, il loro populismo linguistico (quando non è proprio volgarità) e la loro esibita esterofilia.
Bisogna imparare a conoscere la lingua per usarla pienamente come fosse un organo del proprio corpo, perché, appunto: la lingua è dentro di te, come diceva Luzi. Il vero proposito di Sabatini non è tanto quello di soffermarsi sul vasto repertorio degli errori o dei dubbi grammaticali o lessicali, ma di rendere chiari due concetti-chiave: la naturalità e la storicità delle lingue. Si tratta dunque di capire come l’evoluzione biologica, che ci ha portati a essere homo sapiens , abbia predisposto nel cervello aree e funzioni che presiedono alla grammatica, quella grammatica che viene formandosi dentro di noi sin dalla nascita: perché la lingua è un sistema di simboli verbali elaborati nelle complicate reti neuronali del nostro cervello, che esegue lo sminuzzamento e la combinazione di unità foniche minime attraverso cui si producono infinite parole e frasi.
Un meccanismo stupefacente. Per renderlo più chiaro, Sabatini propone una serie di esperimenti combinatori. Il lettore troverà molte informazioni sorprendenti: «Quella dell’acquisizione (“apprendimento in modo naturale”) della lingua è davvero una fase vulcanica per il nostro cervello, perché nei primi anni di vita (da 1 a 7, dicono gli studiosi) il bambino impara “una parola ogni ora” in cui è sveglio e ascolta il parlare degli adulti. Occorre però almeno un anno di simile assorbimento prima che si attivi anche il meccanismo della produzione delle parole, cioè che l’individuo cominci anche a parlare...». Deve entrare in gioco la particolare meccanica dell’apparato fonatorio e articolatorio, distribuito tra la laringe e le labbra, considerando anche l’azione di mantice svolta dai polmoni, sotto la spinta del diaframma.
E qui si apre un nuovo capitolo. Che cosa avviene quando l’ homo sapiens , nella sua evoluzione culturale lunga 100 mila anni, inventa la scrittura? «La scrittura — dice Sabatini — è un’invenzione recentissima, risale solo a 5.000 anni fa: ha prodotto uno sconvolgimento che è ancora in corso e che coinvolge il circuito sensoriale e cerebrale visivo, completamente diverso da quello usato per la lingua parlata». Anche la dimensione storica va allargata, secondo Sabatini: «Non possiamo ragionare nel ristretto ambito delle lingue romanze. Bisogna tener conto di come si è arrivati al latino, collettore di civiltà e di culture ridistribuite a tutto l’Occidente, anche quello germanico o slavo. Non si può dimenticare che attraverso il latino medievale l’inglese si è imbottito di parole di derivazione latina. Ebbene, nella scuola bisognerebbe introdurre una visione molto più ampia del latino, considerarne le origini e gli sviluppi».
La prima parte del libro, per così dire teorica, precede la sezione delle letture (brani di vario tipo: oltre a Machiavelli, Montale, Ilvo Diamanti, c’è anche qualche pagina tratta da Odissee di Gian Antonio Stella, Rizzoli) che ai livelli più profondi — avverte l’autore — comportano la comprensione dei meccanismi grammaticali. Anche qui l’approccio si avvale di una visione più scientifica: la cosiddetta grammatica «valenziale», sulla base di collaborazioni con la neurologia, arriva a identificare nel verbo il nucleo generativo della costruzione della frase, implicando un nuovo metodo didattico che permette di svolgere in modo più coerente l’analisi logica e distinguendo varie tipologie di testi (rigidi, semirigidi, elastici).
Il libro di Sabatini si conclude ironicamente. Una manciata di usi che il linguista, per quanto elastico e niente affatto purista, non vorrebbe mai vedere accolti nell’italiano? Eccoli: il «piuttosto che» disgiuntivo (invece di «oppure»), la formula transitiva «lo o la telefono», gli inqualificabili «endorsement» o «endorsare» per «appoggio» o «appoggiare», l’orribile «location», il terribile «mission». E la punteggiatura usata disastrosamente come è avvenuto in un decreto legislativo emanato dal Governo il 18 aprile scorso.