martedì 13 dicembre 2016

Corriere 12.12.16
Il voto e le regole: quel passo indietro che i partiti non vogliono fare
di Aldo Cazzullo

Chi ha stabilito che la legge elettorale la debbano scrivere i giudici costituzionali? Il Parlamento è sovrano. Se pressoché tutti i partiti si sono espressi a favore del voto anticipato, perché aspettare un mese e mezzo per un’udienza che potrebbe comunque non essere risolutiva? La Consulta non fa le leggi. La Consulta stabilisce quali norme di una legge violano la Costituzione. È possibile che dalla sentenza esca una legge che possa essere applicata. È possibile che questo non accada. Ma la Consulta si muove entro un ambito ristretto. Il legislatore no.
N on facciamoci illusioni: approvare una nuova legge elettorale in Parlamento è difficile perché ogni partito ha a cuore il proprio interesse particolare e non quello generale. Non dappertutto è così. Nelle democrazie anglosassoni il sistema elettorale è lo stesso da generazioni. In altri Paesi esiste un tacito patto: non si possono cambiare le regole in base alle convenienze del momento. Chi violò questo patto — Mitterrand nel 1986 — pagò caro l’azzardo; e fece subito retromarcia, ripristinando i collegi uninominali con doppio turno che hanno garantito alla Francia stabilità e alternanza. Anche nei sistemi anglosassoni ci sono i collegi uninominali, ma a turno unico.
Pure l’Italia ha conosciuto una stagione così. Poco più di centomila elettori esprimevano il loro parlamentare. In questo modo abbiamo avuto appunto la stabilità e l’alternanza per due intere legislature (quasi un miracolo per l’Italia): dal 1996 al 2001 ha governato il centrosinistra, sia pure con tre premier; dal 2001 al 2006 ha governato il centrodestra, con Berlusconi.
Questa legge porta il nome dell’attuale presidente della Repubblica. Un dettaglio non secondario. Sergio Mattarella deve la propria statura anche al fatto di aver dato al Paese norme che non riflettevano l’interesse della propria parte, ma la volontà popolare.
Il sistema maggioritario non nasce dal nulla. Nasce dalla stagione dei referendum. Il 18 aprile 1993 andarono alle urne il 77% degli italiani, più ancora di quelli che domenica scorsa hanno bocciato la riforma costituzionale, per chiudere l’era del proporzionale. Qualcuno ha nostalgia degli anni in cui tracciavamo una croce sul simbolo di uno dei tanti partiti — che non perdevano e non vincevano mai veramente —, delegando la formazione del governo alle segreterie, provocando instabilità e consociativismo? Eppure è lì che si rischia di tornare: al proporzionale, con un modesto premio di maggioranza che in questo momento nessuno dei tre poli è in grado di conquistare. Con il retropensiero che alla fine Pd e Forza Italia, Renzi e Berlusconi si metteranno d’accordo per tagliare fuori Grillo. Ma non è questo il modo migliore per far crescere ancora i Cinque Stelle? Qualcuno pensa davvero di potersi chiudere mesi nelle segrete della politica alle prese con alambicchi da cui distillare — ammesso che esista — la legge in grado di tenere i grillini lontano dal governo? E ancora: nei sondaggi il Pd vale il 30% o anche meno; Forza Italia il 10 o poco più; con che coraggio si potrebbe parlare di larghe intese?
Neppure il Mattarellum dà la garanzia di esprimere una maggioranza parlamentare; anche se nel 1996 è accaduto, nonostante al Nord i poli fossero tre. Si potrebbe dividere il 25% della quota proporzionale in modo da garantire sia un premio di maggioranza, sia un diritto di tribuna. Ogni schieramento ha fior di esperti in grado di dipanare le tecnicalità. Basta che ci sia la volontà politica. Proprio quella che al momento manca.
Il Pd dice in sostanza: noi saremmo favorevolissimi al Mattarellum; solo che non lo vuole nessuno. Ma perché non mettere gli altri partiti alla prova? Matteo Salvini ha detto l’altro ieri, nell’intervista a Marco Cremonesi del Corriere, che a lui il Mattarellum sta bene: perché non stanarlo? Anche Grillo aveva aperto al Mattarellum, per poi diventare proporzionalista; ora ha ricambiato idea e ha proposto di estendere l’Italicum pure al Senato. Quanto a Berlusconi, in questa fase in cui fatica a riunificare il centrodestra preferirebbe il proporzionale; ma con il Mattarellum ha stravinto le elezioni due volte, nel 1994 e nel 2001, e le avrebbe vinte pure nel 2006, quando invece volle una legge rinnegata dal suo stesso autore.
Insomma, i collegi uninominali non favoriscono a priori uno schieramento piuttosto che un altro. Il sospetto è che i partiti non li vogliano perché tolgono potere alle segreterie e lo danno ai cittadini: che conoscono il loro parlamentare, lo possono controllare per cinque anni, e poi confermarlo o cambiarlo. Inoltre una campagna elettorale con il Mattarellum è una gran fatica: il candidato (che potrebbe essere scelto con le primarie, impossibili da imporre per legge, ma in grado di dare al prescelto un vantaggio competitivo) deve conquistarsi il collegio. E di questi tempi, in cui la sinistra perde a Livorno, Perugia, Torino e vince a Vicenza, Bari, Catania, collegi sicuri non ce ne sono. Molto più comoda la soluzione dei capilista bloccati, degli eletti designati non dagli elettori ma dai partiti.
Basterebbe una legge di due righe per ripristinare un sistema che ha funzionato bene e riduce la frattura tra il Palazzo e i cittadini. Riuscirci è difficile, forse difficilissimo. Ma provarci è necessario. Il primo che lo fa, acquista un credito presso l’opinione pubblica. Per una politica che finora ha accumulato soprattutto discredito, non è poco.