domenica 11 dicembre 2016

Corriere 11.12.16
Il riscatto di Verdini sulla via del governo «Così è terminata la nostra quarantena»
di Francesco Verderami

Beati gli ultimi. E gli ultimi erano i verdiniani, che nei giorni della passione renziana riscattano la loro condizione, e da emarginati si apprestano a diventare alleati di governo del Pd. Con diritto di tribuna in Consiglio dei ministri. Il loro leader, che si muove tra le colonne e non è mai entrato in chiesa, riconosce il valore rivoluzionario della parabola cristiana, letta su quel Vangelo dalla copertina rosso lacca che per anni è stato in evidenza sulla sua scrivania. È vero che in politica non esistono i miracoli, che è per i numeri al Senato di Ala se Verdini ha portato i suoi parlamentari nella terra promessa. Esultavano a sera gli apostoli dell’ex braccio destro di Berlusconi, fulminato da Renzi sulla strada del Nazareno: «La quarantena è finita». È finita la quaresima.
Ma Verdini ha vissuto giorni drammatici subito dopo le dimissioni del leader democrat, disconosciuto come profeta quando ha provato a forzare per le elezioni anticipate: «Matteo è impazzito». Alla ricerca di un nuovo messia, ieri ha avuto la folgorazione. Va bene Gentiloni, anzi va bene chiunque, ha detto Verdini uscendo dalla consultazione al Colle: «Siamo disponibili per qualsiasi governo purché il Paese esca dall’impasse». In verità Verdini continua ad aver fede in Renzi, e dopo varie conversazioni concitate, ha parlato ieri con lui in fraternità, dandosi appuntamento oggi per un incontro riservato.
Ci sono da definire molte cose, serve che il Pd suggelli il patto e formalizzi ciò che al capo di Ala è stato garantito prima di salire al Quirinale: «Dobbiamo entrare a pieno titolo nel governo. Altrimenti non potrei garantire la tenuta del mio gruppo». Così sia, o meglio così dovrebbe andare. Forse con un upgrading di Zanetti, che è già vice ministro, e avendo la delega pesante del fisco all’Economia ha preso tempo per decidere. Altrimenti con l’ingresso di una personalità come Pera, ex presidente del Senato ai tempi del Cavaliere e promotore del Sì al referendum, sebbene — come racconta l’ex ministro forzista Matteoli — «lui avesse molto insistito con me per organizzare un convegno a Lucca. Era pronto anche il titolo della manifestazione: “Senato o Barabba? Perché bisogna votare No alle riforme di Renzi”. Poi non è venuto. Chissà perché».
Contento delle rassicurazioni del Pd, Verdini ieri è tornato raggiante dal Colle. «Mattarella ha apprezzato il nostro lavoro», ha riferito il leader di Ala dopo l’incontro: «Ci ha fatto chiaramente capire che non ha obiezioni a un nostro ingresso al governo. Vuole una maggioranza la più larga possibile perché la legislatura arrivi almeno fino a giugno. Almeno».
Così si arriva all’eterogenesi dei fini: la «discontinuità» chiesta dalla «ditta» del Pd per far fuori Renzi, il grande sconfitto, assume le sembianze di Verdini. Il bersaniano Gotor avrà le sue ragioni a dire che «con un governo del Sì referendario il partito rischia nuove cocenti delusioni elettorali». Ma sbarrata la strada al voto anticipato — come chiedeva il leader del Pd — non c’è altra strada per andare avanti in Parlamento. E colpisce, che dopo aver tentato di tagliare il cordone ombelicale tra il premier e Alfano, Speranza — altro esponente della minoranza — spieghi ora che esiste già una maggioranza politica tra Pd e Ncd. Venti anni fa D’Alema si sentiva «circondato dai democristiani». Oggi Bersani potrebbe dire di sentirsi «circondato dai berlusconiani».