Corriere 11.12.16
Una crisi lampo che sfida la voglia di elezioni
di Massimo Franco
A
ll’inno trasversale e vagamente irresponsabile alle elezioni anticipate
bisogna fare la tara. Oggi il presidente della Repubblica darà
l’incarico per formare un nuovo governo nella pienezza dei poteri. E
l’esecutivo durerà almeno fino a quando ci sarà una legge elettorale
omogenea per Camera e Senato: un obiettivo difficile da raggiungere in
tempi brevi. Se a questo si aggiungono gli «adempimenti e le scadenze di
politica interna e internazionale e la ricostruzione del dopo
terremoto» evocati alla fine delle consultazioni da Sergio Mattarella,
le urne tendono ad allontanarsi di qualche altro mese.
Insomma, la
soluzione della crisi si avvicina, il voto no. E questo dovrebbe
permettere la creazione di un esecutivo guidato dall’attuale ministro
degli Esteri, Paolo Gentiloni, fedelissimo di Matteo Renzi; e riflettere
in buona parte la composizione del governo dimissionario, compresa la
squadra a Palazzo Chigi col sottosegretario Luca Lotti: a garanzia di
una serie di nomine strategiche sulle quali Renzi e il suo partito si
sarebbero già accordati. D’altronde, il capo dello Stato non poteva
ignorare i rapporti di forza parlamentari. Il Pd ha i numeri e dunque il
compito di indicare una soluzione, dopo le controverse dimissioni del
premier seguite alla sconfitta referendaria.
Mattarella poteva
solo chiedere ai dem di non tergiversare e di offrire una via d’uscita
alla crisi: l’avevano aperta loro, toccava a loro chiuderla. Dal 4
dicembre del referendum a oggi, sarebbe passata appena una settimana. Il
Quirinale si è limitato a richiamare Renzi al senso di responsabilità, e
a mettere in fila le priorità da rispettare. D’altronde, i margini per
creare un governo di «responsabilità nazionale» non esistevano: troppo
freschi il referendum, le forzature, i veleni.
E poi, nessuno nel
fronte vittorioso del No era disposto a offrire un aiuto anche minimo a
Renzi. Il risultato sarà un esecutivo del «fronte del Sì» senza
discontinuità, se non limitata. Nelle ultime ore era circolata perfino
la voce che Renzi potesse rimanere al suo posto: rinviato alle Camere da
Mattarella o pronto a formare un altro esecutivo. Ma l’ipotesi è stata
smentita. L’unica mediazione che ha retto, nel Pd, è quella che porta a
Gentiloni. E dalla lista dei ministri si dedurranno anche i nuovi
equilibri di partito: equilibri apparentemente blindati a favore del
segretario-ex premier.
Renzi sta accelerando i tempi delle
primarie e del congresso. E tanta fretta forse tradisce il timore oscuro
di una resa dei conti al rallentatore contro un leader che in tre anni
ha perso l’aura del vincente; e dunque rischia di ritrovarsi contestato e
assediato. Eppure, a oggi non è chiaro chi sia in grado di insidiare la
sua segreteria, al di fuori di una minoranza interna che lo ha sabotato
e sgambettato al referendum ma non ha un leader alternativo. Il Pd nel
suo insieme non è più così sicuro che Renzi lo porti alla vittoria.
Eppure, è condannato a seguirlo.