Corriere 11.12.16
Il governo futuro e le incognite europee
La credibilità in Europa
di Sergio Romano
Il
governo futuro e la credibilità in Europa. L’eterna corsa alla formula
perfetta per votare nasconde la fragilità cronica di leadership.
In
altre circostanze e in un Paese più raziocinante, Matteo Renzi dovrebbe
succedere a se stesso per almeno tre ragioni. In primo luogo ha perso
la battaglia della riforma costituzionale, ma non è stato sfiduciato dal
Parlamento e può contare, in un contesto in cui i «No» formano una
coalizione eterogenea, su una maggioranza relativa del 40%. Dovrebbe
restare anche perché l’Italia non è interamente padrona della propria
sorte. Tutti i problemi del Paese, dalla crisi dei migranti alla
ricapitalizzazione del Monte dei Paschi, dipendono dalla credibilità
europea del suo governo e dalla collaborazione dei suoi partner. Renzi
ha parecchi difetti, ma i leader dell’Unione lo conoscono, lo hanno
sostenuto durante la campagna elettorale, hanno già affrontato con lui
tutte le questioni del momento e sono verosimilmente disposti a fargli
credito sino alla fine della legislatura. Non farebbero probabilmente
altrettanto con un altro presidente del Consiglio, anche se fosse il
ministro degli Esteri.
Renzi dovrebbe restare, in secondo luogo,
perché non è nell’interesse del Paese, in questo caso, fare un governo
di rapida transizione per andare subito alle urne. Non si anticipano le
elezioni quando sulla legge elettorale pesa il dubbio della
incostituzionalità e non è opportuno scriverne un’altra,
frettolosamente, per compiacere i partiti a cui preme di andare al
potere con un doppio obiettivo: scardinare l’intero sistema e portare il
Paese fuori dell’eurozona. Non è nell’interesse generale che l’elettore
corra il rischio di concepire il rinnovo delle Camere come il naturale
seguito del referendum sulla Costituzione. Vi sono momenti in cui il
rapido cambiamento del leader può giovare a una nuova partenza del Paese
verso migliori traguardi. Ma ve ne sono altri in cui è meglio aspettare
che la discussione sul futuro della nazione diventi meno affannosa e
partigiana.
Vi è una terza ragione per cui Renzi, a mio avviso,
dovrebbe restare alla testa del governo sino alla fine della
legislatura. Credo di intuire i suoi sentimenti. Aveva puntato sulla
riforma della Costituzione e aveva legato il proprio destino politico a
quello del progetto. Deluso e amareggiato, sembra comportarsi come se
volesse lasciare al futuro il compito di dargli ragione. È successo
anche ad altri uomini politici, più grandi di Renzi. Si fanno da parte e
aspettano il riconoscimento a cui ritenevano di avere diritto. Sono
posizioni umanamente comprensibili in cui si nasconde, tuttavia,
l’inconfessata speranza che le cose, dopo la loro uscita di scena,
vadano male e che i loro connazionali finiscano per rimpiangerlo.
Un
leader che nutre questi sentimenti non giova alla comunità nazionale.
Preferirei un Matteo Renzi che metabolizza la sconfitta e si mette
nuovamente al servizio del Paese.