Corriere 10.12.16
I cento passi di Lotti
di Francesco Verderami
Cento
passi separano a Roma la sede del Pd dagli uffici della Fininvest. E in
quei cento passi Lotti avrà ripercorso i mille giorni del renzismo, dai
fasti del patto del Nazareno alla sua passeggiata solitaria verso
l’altra sponda del Nazareno.
Tre giorni fa, in quel luogo
dell’anima che ha segnato una fase della storia politica italiana, non
era più Berlusconi a recarsi da Renzi. Tre anni dopo, è stato il braccio
destro di Renzi a recarsi da Gianni Letta, magari per sapere quale
fosse la linea di Berlusconi, e per tentare di capire se davvero avesse
stretto accordi con gli avversari interni del suo amico e segretario
democrat. Non è dato sapere se e in che modo l’uomo delle mille
mediazioni per il Cavaliere abbia riportato le volontà del leader di
Forza Italia, è certo che Berlusconi — prima del referendum— si diceva
pronto se del caso a un cambio di cavallo: «Sulla legge elettorale siamo
pronti a trattare con il Pd. Con Renzi o con chi verrà dopo Renzi».
La
politica è spietata, la politica è rapporti di forza. E per quanto
giovane, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ne conosce le
regole. L’hanno visto sconsolato, l’altra sera, camminare per piazza
della Signoria a Firenze, con il figlioletto a mitigare la sofferenza.
Perché Lotti — che intreccia con il premier dimissionario il rapporto
personale e quello professionale — ha sofferto più di tutti l’esito del
voto, e fatica a metabolizzare la sconfitta: «Non siamo stati capiti». E
l’angoscia va oltre la perdita del potere, che in questi tre anni ha
pure gestito: con «temperamento» secondo i fedelissimi, con «arroganza»
secondo i suoi critici.
Lotti è stato l’uomo del «me la vedo io»,
«aggiusto io», e soprattutto del «con Matteo ci parlo io». In un sistema
di check and balance si è occupato dei servizi nonostante quel ruolo
sia di Minniti, si è interessato di infrastrutture nonostante lì ci sia
Delrio, ha disbrigato nel partito nonostante lì ci sia Guerini, e si è
occupato di banche perché ritiene che lì non ci sia nessuno. Se resterà a
Palazzo Chigi senza Renzi, è perché di Renzi rappresenta l’essenza. Il
leader, che voleva occuparsi di tutto, non riuscendoci si era fatto
trino: a Lotti aveva affidato la gestione degli affari di governo, alla
Boschi il ruolo di ambasciatrice del governo. Ruolo che lascerà, perché
le riforme non ci sono più. E non c’è più neanche il governo.
All’indomani
del voto referendario, mentre Lotti spingeva per «ripartire dal 40%»,
lei aveva chiaramente capito ciò che Casini le avrebbe ribadito: «Cara
Maria Elena, dovete scegliere quale boccone amaro mandar giù.
Riprendervi l’incarico o indicare a Mattarella il nome di un altro
presidente del Consiglio. Tre mesi lì, come niente fosse, Matteo non può
restarci». Mille giorni e cento passi dopo, Lotti si è rassegnato
all’idea che Renzi doveva scegliere il danno minore: lasciare Palazzo
Chigi a Gentiloni, con la consapevolezza che si aprirà una fase
difficile nel partito. Perché sarà pur vero che nel Pd ci sono molti
politici e nessun leader, ma sono proprio la loro capacità di manovra e
la vischiosità del correntismo il maggior pericolo per il segretario che
da lunedì non sarà più premier.
Il compromesso ha evitato (per
ora) l’implosione del Pd, «perché — come spiegava mercoledì il
Guardasigilli Orlando ad alcuni compagni — anche solo l’impressione di
consumare un complotto contro Renzi, decreterebbe la morte del partito
agli occhi del nostro elettorato. Torneremmo a percentuali dei tempi in
cui c’erano i Ds, senza più nemmeno la Margherita come alleato». Ma il
compromesso sarà l’arte che il segretario applicherà nella quotidianità?
Starà solo a lui gestire la trattativa sulla legge elettorale, sulle
alleanze elettorali e sulle liste elettorali? E quanti di questi nodi
sono già oggetto della mediazione che segna la tregua nel Pd?
«Con
Renzi o con chi gli succederà», diceva Berlusconi, che si prepara a
impostare la trattativa con Renzi ma anche con i suoi avversari. Cento
passi dopo, Lotti ha capito cos’è diventato il Nazareno.