il manifesto 9.11.16
Uno schiaffo a Orbán
Ungheria. Il parlamento boccia il rifiuto delle quote di migranti. Scontro tra i partiti di destra
di Massimo Congiu
BUDAPEST
Dopo il mancato quorum al referendum sulle quote migranti Viktor Orbán
si vede bocciare in parlamento la proposta di modifica costituzionale
contro il sistema delle quote di accoglienza. All’indomani del voto il
premier e i suoi collaboratori avevano commentato con soddisfazione il
fatto che la quasi totalità di quanti si erano recati alle urne si fosse
espressa a favore del governo e dato poca importanza al mancato
raggiungimento del quorum. L’esito della votazione in parlamento è stato
accolto con meno fair-play da deputati della maggioranza che
nell’occasione avrebbero lanciato accuse di tradimento della patria al
partito di estrema destra Jobbik, reo di aver fatto mancare il suo
appoggio alla forza politica guida dell’esecutivo.
Torniamo
indietro di poco più di un mese: una volta noto il risultato del
referendum Orbán aveva annunciato davanti ai membri dell’assemblea
nazionale il proposito di modificare la Legge fondamentale, ossia la
Costituzione voluta proprio dal partito governativo Fidesz ed entrata in
vigore il primo gennaio del 2012, per sottrarre l’Ungheria all’obbligo
di ospitare migranti sulla base di un meccanismo di quote voluto
dall’Unione europea. «Solo a noi ungheresi spetta decidere con chi
convivere e se vogliamo convivere con altri» è la posizione del governo e
dei suoi sostenitori; da considerare che più volte il premier aveva
affermato di non vedere di buon occhio che genti di altra cultura e
religione si mescolino ai suoi connazionali. Per Orbán con il
referendum, il paese aveva lanciato un segnale chiaro all’Ue, un
messaggio di cui Bruxelles avrebbe dovuto tenere conto. La modifica
costituzionale si riferiva, per la precisione, ad un divieto di
insediamento di massa di cittadini stranieri sul territorio ungherese
come affermazione di sovranità nazionale nei confronti dell’Ue.
La
proposta di emendamento veniva descritta dai rappresentanti
dell’esecutivo come un’iniziativa presa nello spirito del referendum che
Bruxelles non avrebbe considerato valido nemmeno nel caso il quorum
fosse stato raggiunto. «Un gioco pericoloso», aveva definito il
presidente del parlamento europeo Martin Schulz la politica di Orbán
consistente in una sfida aperta all’Ue sul tema migrazione, a fronte dei
neanche 1.300 migranti che l’Ungheria sarebbe chiamata ad accogliere.
È
comunque chiaro che, al di là dei numeri, il governo ungherese e i suoi
sostenitori respingono il principio che il loro paese sia obbligato da
poteri esterni a dare accoglienza ai profughi e che tale rifiuto debba
essere sanzionato con multe pecuniarie. Così la battaglia di Orbán è
andata avanti con la presentazione della proposta di emendamento
costituzionale e relativa votazione.
Torniamo a oggi: l’esito del
voto è in pratica la prima sconfitta patita dal premier in Parlamento
dal 2010, anno in cui è approdato al governo dopo otto anni di potere
liberalsocialista. Il mancato appoggio di Jobbik era previsto; in cambio
del suo sostegno il partito aveva chiesto all’esecutivo la soppressione
dei «titoli di insediamento», si parla della possibilità per i
cittadini stranieri di acquisire il diritto di vivere in Ungheria
comprando buoni speciali del tesoro a un prezzo di 300.000 euro. A
tutt’oggi circa 6.000 persone, in maggioranza russi e cinesi, avrebbero
beneficiato di questa opportunità costituendo, secondo il presidente di
Jobbik Gábor Vona, una minaccia alla sicurezza nazionale. Il Fidesz
aveva respinto l’offerta, definita un «ricatto». La proposta è stata
votata da 131 deputati, tutti appartenenti al partito di governo.
Mancavano
due voti per l’approvazione. Una volta reso noto il risultato della
votazione, deputati della maggioranza hanno accusato Jobbik di
«tradimento della patria», ed esponenti del partito di Vona, anch’esso
peraltro contrario alle quote, hanno risposto srotolando uno striscione
con scritto «Traditore è chi vende per denaro il diritto di insediamento
facendo entrare dei terroristi!».
È quindi guerra tra i due
partiti di destra che al momento rappresentano i soggetti politici più
influenti in Ungheria. Negli ultimi anni Jobbik ha conosciuto una
crescita considerevole in termini di consenso popolare e da un po’ di
tempo afferma di puntare alle elezioni del 2018 per la conquista del
governo.