Simone Weil: la violenza pietrifica le anime
di Elena Tebano
«Mettiamo
la maiuscola a parole prive di significato e, alla prima occasione, gli
uomini spargeranno fiumi di sangue, accumuleranno rovine su rovine
ripetendo quelle parole, senza mai ottenere davvero qualcosa di
corrispondente; niente di reale può davvero corrispondere a queste
parole, poiché non significano niente». Quando Simone Weil si esprimeva
così in Non ricominciamo la guerra di Troia , quasi 80 anni fa, l’Europa
era alla vigilia della Seconda guerra mondiale e i termini al centro
dello scontro erano «nazione, sicurezza, capitalismo, comunismo,
fascismo, ordine, autorità, proprietà, democrazia».
Il libro del
potere , la breve raccolta di saggi dell’autrice francese a cura di
Mauro Bonazzi, appena edita da Chiarelettere, ha il merito di
restituircene tutto il vigore per un oggi in cui sono cambiati i termini
con la maiuscola, ma non la loro pericolosa indefinitezza (si pensi
alla contrapposizione tra una visione integralista dell’«Islam» e
l’«Occidente»).
I tre testi del libro sono uniti dalla stessa,
attualissima, esigenza: una riflessione sulla forza e sui suoi effetti
al cospetto del mondo in cui vige il suo dominio. Per Simone Weil il
modello è l’«ispirazione greca», la cui «essenza» — sostiene in
L’ispirazione occitana , il terzo scritto della raccolta, pubblicato
originariamente nel 1942, un tentativo di identificare nel cristianesimo
evangelico il vero erede della cultura greca — è «la conoscenza della
forza» e cioè «riconoscerla come pressoché unica sovrana di questo mondo
e rifiutarla con disgusto e disprezzo».
All’analisi del «suo
potere di trasformare gli uomini in cose», che «pietrifica seppur in
modo diverso sia l’animo di coloro che la subiscono sia quello di coloro
che la esercitano», è dedicato in particolare il primo saggio, L’Iliade
o il poema della forza del 1940. Ed è qui l’intuizione forse più
interessante: un no fortissimo alla «scorciatoia» della violenza, come
la definisce Bonazzi nell’introduzione, che alla complessità del reale
preferisce «soluzioni drastiche, fondate su opposizioni nette: il bene
contro il male, la luce contro il buio», perché distrugge anche chi ne
esce vincitore. Un rifiuto che Simone Weil ha incarnato con il suo
radicalismo fino a morirne: non si è mai sottratta alle guerre che hanno
segnato il suo tempo e ha sempre combattuto per gli ultimi, senza però
mai cedere alla logica della forza.