martedì 15 novembre 2016

Repubblica Salute 15.11.16
Bipolari. Sull’ottovolante dell’umore
Ci vogliono in media sei anni per riconoscere i sintomi e disegnare la terapia. Troppi, perché un intervento tempestivo ridurrebbe gravità e ricadute. Come proteggersi dai fattori di rischio che possono scatenare le crisi
L’alternarsi di depressione ed euforia non è patologia se non c’è disagio di vivere
di Francesco Crò
Psichiatra, Dipartimento di Salute Mentale, Viterbo

QUASI SEI ANNI. È l’intervallo medio prima che i sintomi di chi è affetto da disturbo bipolare siano riconosciuti e curati. Emerge dal più grande studio mai condotto sull’argomento, coordinato dallo psichiatra Giovanni de Girolamo, dell’IRCCS Fatebenefratelli di Brescia, e dal suo collega australiano Matthew Large, della University of New South Wales di Sydney. I ricercatori hanno sottoposto a rigorosa analisi statistica gli articoli scientifici degli ultimi trentacinque anni, che indicavano l’età di presentazione dei disturbi bipolari e quella in cui veniva offerto il primo trattamento. Evidenziando il drammatico ritardo, ancora più marcato nei giovani, le cui alterazioni dell’umore possono essere scambiate per normali oscillazioni dell’adolescenza. Cosa che rappresenta un’occasione perduta: un intervento psicologico e/o farmacologico al momento giusto permette infatti di ridurre notevolmente quantità e frequenza delle ricadute.
Il disturbo bipolare è caratterizzato dall’alternarsi ciclico di stati depressivi, durante i quali è facile perdere la voglia di vivere, e di fasi di euforia patologica (maniacali) che possono apparire gradevoli ad uno sguardo superficiale ma rappresentano in realtà momenti critici, nei quali i pazienti possono comportarsi in modo inappropriato, prendere iniziative sconsiderate e rovinare i rapporti con le persone che li circondano, pentendosene quando tornano alla normalità. È proprio nelle fasi di stabilità tra un episodio e l’altro che sono più indicati gli interventi mirati a sviluppare la consapevolezza dei pazienti che, ignorando la propria condizione, non si proteggono a sufficienza dai fattori di rischio che possono indurre le crisi: stravolgimenti del ritmo sonno-veglia, come può accadere ai lavoratori turnisti o ai viaggiatori intercontinentali, assunzione di sostanze stimolanti come droghe o gli stessi farmaci antidepressivi prescritti da medici che non riconoscono lo stato depressivo come fase down del disturbo bipolare ma lo scambiano per “semplice” depressione.
Le oscillazioni dell’umore fanno parte della vita e non devono essere considerate sinonimo di patologia, in nome di una astratta normalizzazione psichiatrica. Lo stesso disturbo bipolare rappresenta un’accentuazione di questa fisiologica variabilità e può esprimersi con intensità diverse, dalle forme lievi o lievissime, caratterizzate solo da aumentata “creatività”, per le quali non è indicato il trattamento farmacologico, a quelle molto gravi in cui questo rappresenta uno strumento prezioso e insostituibile ai fini del mantenimento di una vita normale e soddisfacente. Quand’è che la normale alternanza tra buono e cattivo umore diventa malattia? Un segnale è dato senz’altro dal disagio che questa condizione arreca all’individuo, ad esempio causandogli problemi nella vita di tutti i giorni, nei casi gravi conducendolo anche a ricoveri in reparti psichiatrici, dove non sempre il disturbo viene riconosciuto e il paziente può essere dimesso senza cura adeguata o al contrario trattato con terapie farmacologiche inutilmente invasive, con pesanti effetti collaterali.
Gli autori della ricerca auspicano ulteriori studi sulle fasi iniziali e prodromiche del disturbo bipolare, analogamente a quanto è avvenuto per la schizofrenia e i disturbi psicotici, nel tentativo di anticipare il trattamento e limitare così i danni a lungo termine causati dalla malattia. Anche i disturbi bipolari, se non curati, possono associarsi a problemi permanenti di attenzione, memoria, concentrazione e pianificazione, e a difficoltà ad adattarsi ad ambienti competitivi, ad esempio in ambito lavorativo; una maggiore sensibilità dei medici in questo campo si tradurrebbe in un significativo miglioramento della qualità della vita per molte persone.