Repubblica 16.11.16
Il no in vantaggio quasi ovunque ha spinto a
un cambio di strategia. Se Renzi dopo il referendum resterà in sella
lavorerà per modificare le regole dell’Unione
Un attacco studiato a tavolino il premier punta a recuperare consensi tra gli anti europeisti
di Alberto D’argenio
ROMA.
Sono le ultime cartelline planate in questi giorni sulle scrivanie di
Palazzo Chigi a spiegare l’offensiva del governo italiano che in Europa
mette due veti in un solo giorno. Due dossier sui quali l’Italia ha
ottime ragioni per essere scontenta, ma il piglio così aggressivo si
spiega anche con il contenuto di quelle cartelline: gli ultimi sondaggi
in vista del referendum del 4 dicembre. E le notizie non sono delle
migliori per il governo. Stando alle rilevazioni, infatti, il Sì è sotto
in tutte le regioni ad eccezione di una, l’Emilia Romagna. Con il No
attestato intorno al 53% a livello nazionale. Ma a dettare la linea
aggressiva in Europa c’è anche un altro dato che spicca nei report
confezionati dai sondaggisti: gli attacchi all’Ue sono la cosa più
apprezzata dagli italiani, che invece non sembrano interessati agli
altri argomenti della campagna elettorale.
Renzi ha così capito
che solo l’Europa scuote l’elettorato, a maggior ragione ora che prova a
pescare voti al di fuori del tradizionale campo del Pd, tra i moderati
di centrodestra più inclini a criticare l’Unione. Su impulso del
premier, dunque, ieri i ministri impegnati a Bruxelles hanno attaccato,
ma cambiando obiettivo rispetto alle ultime sortite. Gentiloni e Gozi
non se la sono presa con il presidente della Commissione, Jean-Claude
Juncker, ma con il Consiglio, ovvero con i governi dell’Unione, in
particolare con quelli dell’Est che con le loro politiche contro i
migranti e il rifiuto ad essere solidali con i paesi in prima linea
nell’accoglienza sono un bersaglio apprezzato da tutti.
Juncker
dunque esce dal mirino italiano e guarda a caso proprio oggi la
Commissione che presiede è chiamata ad esprimersi sulla Legge di
Bilancio del governo Renzi. Meglio non surriscaldare gli animi, tanto
più che il giudizio che arriverà metterà l’Italia in bilico. La
Commissione non boccerà la manovra - e questo è già un risultato per
Roma visto che il deficit nel 2017 resterà fermo al 2,4% del Pil e il
debito salirà al 133,1% - ma congelerà il proprio giudizio fino a dopo
il referendum, dunque ai primi mesi del 2017. Bruxelles concederà molto a
Renzi, per il terremoto arriverà l’ok a non contare nel deficit fino a
tre miliardi, con il via libera anche al finanziamento del piano Casa
Italia voluto dal premier per mettere in sicurezza il Paese. Molto di
più di quanto permetterebbero le regole europee. Idem per i migranti. Ma
il punto è che le regole sono state approvate da tutti i governi e che
la Commissione non può vedere le sue decisioni sconfessate dai ministri
delle Finanze (Eurogruppo). Per questo comunque chiederà al governo di
prendere le misure necessarie per chiudere, dopo il referendum, il gap
tra la massima flessibilità concessa e il 2,4% di deficit della manovra
(per Roma sarebbe il 2,3%, ma i conti di Bruxelles lo hanno portato su
di un decimale). La Commissione non specificherà di quanto deve essere
la correzione (si dovrebbe trattare di circa tre miliardi) e comunque lo
scenario attuale è scritto sulla sabbia, dopo il referendum tutto
cambierà.
Ma con i due veti Renzi punta anche a far capire ai
partner che se dopo il voto del 4 dicembre resterà in sella, vuole
cambiare davvero l’Europa. Altro messaggio che piace agli elettori. Per
questo il premier ieri parlava di «Italia alternativa a questa Europa » e
spesso ricorda che a marzo 2017 quando a Roma si celebreranno i 60 dei
Trattati europei non accetterà un flop: «Gli altri leader sappiano - è
il messaggio che Renzi spesso condivide con i suoi - che o l’Europa
ripartirà da Roma o è meglio lasciar stare».
Dunque, per citare un
ministro in stretto contatto con Renzi sui temi europei, i due veti di
ieri «danno coerenza alle polemiche post Bratislava e ai messaggi della
campagna elettorale». Peraltro con buoni motivi.
La riserva,
anticamera del veto, posta da Gozi sulla revisione di medio termine del
bilancio pluriennale dell’Unione (2018-2020) si fonda su dati solidi:
mentre i governi dell’Est cresciuti a suon di fondi europei che
manterranno anche nel prossimo triennio affondano la solidarietà Ue sui
migranti e costruiscono muri, dal bilancio comunitario spariscono i
soldi dei programmi comunitari che interessano all’Italia. I capitoli
per solidarietà e flessibilità (ad esempio interventi per disastri
naturali o per fronteggiare ondate migratorie eccezionali) passano da
1,5 miliardi a 900 milioni. I fondi per sviluppo e innovazione di
Horizon 2020 vengono dimezzati a 200 milioni, stessa sorte per i fondi
Erasmus e per le piccole e medie imprese, entrambi tagliati a 100
milioni. Tutto frutto del lavoro della presidenza di turno dell’Unione
detenuta dal governo slovacco, che ha martoriato le proposte scritte
dalla Commissione. Sul dossier si vota all’unanimità, al contrario che
sul singolo bilancio 2017 anch’esso attualmente, in discussione, e
dunque il no italiano può tenere tutto fermo, anche se è difficile
immaginare che resti per tutto il 2017.
Poi c’è il veto sulla
revisione di Dublino, ovvero le nuove regole sull’accoglienza dei
richiedenti asilo bloccate da Gentiloni. Un altro dossier che va
all’unanimità e che il governo slovacco di Robert Fico vorrebbe chiudere
entro Natale. Ebbene, il premier di Bratislava, in ossequio alle
richieste del gruppo di Visegrad del quale la Slovacchia fa parte
insieme a Polonia (Kaczynski), Ungheria (Orban) e Repubblica Ceca, ha
tolto l’obbligo a carico dei paesi dell’Unione di ospitare quote di
rifugiati siriani o somali. La “solidarietà flessibilie”, è stata
ribattezzata dai suoi autori, che h anche fatto sparire le sanzioni per i
governi che non ospitano i migranti (250mila euro a rifugiato
rifiutato) ideate da Juncker.
L’Italia ha dunque messo nel mirino
dossier sui quali non può che incontrare il favore di tutta l’opinione
pubblica, con il vantaggio da apparire aggressivo e “populista” di
fronte agli elettori, a beneficio dei sondaggi. Dei quali ieri un Renzi
in cerca della rimonta si è pubblicamente occupato con una battuta che
guardava ai precedenti su Brexit e Trump: «Vanno male? Magari, con la
sfortuna che portano...».