il manifesto 16.11.16
Renzi soffia sul fuoco dei populisti
di Antonio Floridia
Qualcuno
comincia a chiedersi quale impatto avrà l’elezione di Trump sul voto
italiano del 4 dicembre. In particolare, comincia a circolare un
argomento: «Teniamoci caro e stretto il nostro Renzi: avete visto cosa
può accadere? Un Trump è sempre alle porte». Si può rispondere che Renzi
è parte del problema, non la soluzione. Siamo nell’epoca in cui domina
il sentimento anti-establishment e su questa idea il
presidente-segretario ha disegnato la propria immagine e la propria
«narrazione».
Questa strategia ha funzionato quando si trattava di
contrapporsi a una precedente leadership di partito. Dimostrando tutti i
suoi limiti quando si è trasfusa in un’azione di governo. Non ci si può
auto-dipingere come il corifeo dell’anti-elitismo e poi esaltare le
doti dell’ing. Marchionne. Non si può trasudare di retorica quando si
esaltano le «punte» avanzate dell’innovazione e della creatività
italica, senza tener conto che – per definizione – quando qualcuno
riesce a «emergere» altri sono necessariamente «sommersi» (o
«dimenticati», per usare l’espressione che Trump, molto abilmente, – ed è
una chiave della sua vittoria – ha usato nel suo primo discorso). Non
si può proporre una riforma della Costituzione parlando “contro” i
politici e la politica, e non pensare poi che qualcun altro – molto più
credibile di te – se ne gioverà ampiamente. Renzi non è l’argine al
populismo: al contrario, ha profondamente legittimato un discorso
pubblico «populista». E non – si badi bene – di un qualche «populismo di
sinistra», come pure sarebbe possibile provare a fare, ma di un
populismo che si nutre di tutti i tasselli ideologici di destra che
hanno profonde radici nella cultura politica italiana, e che già avevano
fatto la fortuna di Berlusconi: qualunquismo, antiparlamentarismo,
rifiuto della politica come mediazione, «decisionismo»…
Il secondo
ritornello dice che «non c’è alternativa a Renzi», come qualcuno dice,
motivando il proprio Sì. La vittoria del No sarebbe il classico «salto
nel buio»?
Tutt’altro. Intanto, la vittoria del No aprirà la via
ad un più fisiologico sviluppo della situazione politica. In primo
luogo, costringerà a fare una riforma elettorale sensata e coerente (non
l’incredibile «bricolage» contenuto nel documento partorito dalla
commissione del Pd); e, in secondo luogo, – sulla base di una legge
elettorale decente, e in vista delle elezioni del 2018 – , potrebbero
crearsi le condizioni per tornare ad orientare la politica italiana
sull’asse destra-sinistra, non su quello sistema/anti-sistema. Il più
potente antidoto al veleno del populismo di destra è la riapertura di un
conflitto politico aperto e regolato, che abbia al centro i grandi temi
del nostro tempo: uguaglianza e ridistribuzione della ricchezza (contro
privilegi e ingiustizie), democrazia e partecipazione (contro
accentramento, plebiscitarismo, tecnocrazia). Solo così, i “dimenticati»
non saranno abbandonati nelle mani del tycoon di turno, o almeno si
potrà provare a evitarlo.
E per riuscirci, bisognerà anche che –
da sinistra – su questi due grandi temi, giustizia sociale e democrazia,
si riesca a dire qualcosa di nuovo e di credibile. Ci sarà bisogno di
tempo per metabolizzare il senso e le conseguenze dell’elezione di
Trump. Sarà veramente in grado il neo-eletto di perseguire le politiche
neo-protezionistiche che ha promesso, senza aprire un fase storica di
guerre commerciali (e forse non solo commerciali)? È davvero possibile
tornare indietro, dai livelli attuali di integrazione dell’economia
mondiale, senza innescare una reazione a catena altamente
destabilizzante? O non ci riuscirà, ed allora ben presto saremo di
fronte all’ennesima manifestazione tipica dei cicli populisti, con il
rapido alternarsi di aspettative salvifiche e poi di disillusioni e
risentimenti?
Si dovrà riflettere sulla nuova fase in cui la
sindrome dell’«apprendista stregone» esplode in tutta la sua virulenza.
La globalizzazione deregolata ha prodotto i suoi frutti avvelenati, è
sfuggita di mano alle èlite che l’hanno promossa, e si riaprono
contraddizioni di enorme portata, su cui le forze democratiche e di
sinistra dovrebbero sforzarsi di intervenire. In particolare, le analisi
che dipingevano un dominio neoliberista compatto, pervasivo e
totalizzante, devono oggi lasciare il campo ad analisi – e
possibilmente, azioni politiche – guidate da tutt’altri presupposti. Si
ritiene davvero che anche la sinistra possa puntare su un ripiegamento
all’interno dei confini dei vecchi stati nazionali, o non è suo compito –
difficilissimo ma ineludibile – quello di indicare la via di una
democrazia trans-nazionale, in grado di «addomesticare» le tendenze
distruttive delle logiche sistemiche (impersonali, «automatiche») del
capitalismo contemporaneo e di prospettare per esso nuove forme di
regolazione?
Nel suo piccolo, anche Renzi è un apprendista
stregone. Per questo, la vittoria del No, il 4 dicembre è un essenziale
spartiacque. Se il No vincerà, sarà per motivazioni diverse, anche
opposte. Toccherà alla sinistra, se sarà in grado di farlo, orientare la
rivolta contro le «elite» in senso democratico e progressista.