Repubblica Cult 20.11.16
A che ora è la fine del mondo?
Si
parla di Apocalisse tutte le volte in cui la Storia subisce, come nel
tempo che stiamo vivendo, accelerazioni improvvise. Ma se, più che un
concetto negativo, fosse da intendersi come la nascita di una nuova
consapevolezza?
Ogni singolo individuo, se ripercorre la sua
traiettoria e il suo passato, può dire di avere assistito alla scomparsa
di un’epoca Ma forse, adesso, con l’evoluzione scientifica e la
tecnologia che cambiano di continuo le nostre percezioni, a terminare
davvero sarà l’idea di considerarsi ancora i soli protagonisti
dell’universo
di Marc Augé
Il tema della fine del
mondo ha sempre ossessionato l’universo abramitico, come l’immagine di
una seconda morte dopo quella di ciascuno dei miliardi di individui che
nel corso del tempo avevano conosciuto, ognuno per proprio conto, la
prova della morte e del giudizio di Dio. È il cristianesimo che spinge
fino all’estremo questa visione con il dogma della risurrezione della
carne: tutti i morti risusciteranno e ritroveranno un involucro corporeo
prima del giorno del giudizio. Anche il Cristo ritroverà il suo corpo
umano, il suo “corpo glorioso” fornito di poteri speciali; tutti i
beati, analogamente, si reincarneranno in un corpo glorioso. Resta nel
vago la natura del corpo in cui si reincarneranno i dannati, sottoposti
in qualche modo a una pena doppia, considerando che il giorno del
giudizio non rappresenta una sentenza d’appello, ma conferma, in linea
di principio, quella che è stata pronunciata alla morte di ogni
individuo.
Questo giorno del giudizio vedrà riunita un bel po’ di
gente, perché già oggi si calcola che siano morti 108 miliardi di esseri
umani dall’apparizione dell’uomo sulla Terra. Se pensiamo che per ogni
individuo la morte rappresenta la fine del mondo, bisogna ammettere che
ogni anno il mondo finisce per 59 milioni di esseri umani.
Oggi
possiamo avere la percezione che la fine del mondo nel senso abituale
del termine, per lontana che sia, si stia già profilando, per il modo
dispendioso e incontrollato con cui l’umanità, in crescita demografica
galoppante, tratta o per meglio dire maltratta il pianeta Terra.
Proviamo un senso di colpa collettivo per questa situazione, e in un
certo senso ci sottoponiamo anticipatamente al giudizio che potrebbe
essere pronunciato sull’imprevidenza umana. Ci avvertono continuamente
dei rischi che comporta il riscaldamento dell’atmosfera eppure
continuiamo a riversare anidride carbonica nell’aria, a prosciugare le
ricchezze della terra e a sotterrarci dentro rifiuti di ogni sorta,
comprese le scorie nucleari. E vediamo i più previdenti interessarsi
alle scialuppe di salvataggio del nuovo Titanic su cui tutti saremo
imbarcati: un miliardario progetto di colonizzare Marte, altri pensano
alla criogenia per fuggire e rinascere in un mondo migliore, su un altro
pianeta, come in 2001 Odissea nello spazio, all’occorrenza con un corpo
migliorato e tecnologicamente “glorioso”.
Ma se si eccettuano
queste visioni di fuga nell’universo, uno dei grandi paradossi della
nostra epoca è piuttosto il seguente: più la scienza appare come il solo
ambito dell’attività umana in cui si possa parlare con sicurezza di
progresso, meno sembra capace di ispirare a un vasto pubblico un
sentimento di adesione spontanea. Forse ci stiamo abituando a non
pensare più veramente nel tempo, a pensare il tempo, e le tecnologie
della comunicazione ci trasmettono troppo facilmente il sentimento di
vivere in un eterno presente. Ogni singolo individuo, se ripercorre la
sua traiettoria, il suo passato, può dire di aver vissuto la fine di
parecchi mondi, ma al tempo stesso è certo di non avere la minima presa
su questa accelerazione della storia, fatica a darle un senso.
Negli
anni Quaranta, in Bretagna, ho conosciuto una vita abbastanza vicina a
quella che doveva essere la vita nel XIX secolo: le cappelle intorno al
villaggio dove viveva la mia famiglia erano consacrate a dei santi
guaritori legati a fonti miracolose: una curava le malattie degli occhi,
un’altra proteggeva la salute dei cavalli. Oggi l’allevamento intensivo
dei maiali deve fare i conti con le difficoltà del mercato mondiale e
le pale eoliche sparpagliate per il paesaggio sembrano testimoniare la
crisi delle energie di origine fossile: insomma, siamo immersi nei
problemi del XXI secolo, come se il XX, malgrado le sue due guerre
mondiali, fosse stato aggirato. È una sensazione senza alcun fondamento
storico, ma che corrisponde, secondo me, a quello che ci può ispirare lo
spettacolo dei cambiamenti in costante accelerazione e lo sgretolamento
dei paradigmi che in teoria dovrebbero spiegarlo.
Il tema della
fine del mondo emerge quando la storia si accelera e quando scompare il
tema del fine (non la fine) della storia. La fine delle grandi
narrazioni di cui ha parlato Lyotard può apparirci come una regressione
intellettuale, per esempio uno svelamento dei rapporti di forza tra
nazioni, senza un’autentica posta in gioco intellettuale e ideologica.
Putin non è Lenin. Obama non è Jefferson e nemmeno Newton. Il tenore dei
messaggi che fanno più proseliti nel mondo oggi è esplicitamente
religioso. Questa constatazione del mondo com’è oggi, con le sue
tecnologie di comunicazione indifferenti al tenore dei messaggi, lo
spettacolo di una commedia politica che traveste o dissimula gli
interessi finanziari dei più ric- chi, i calcoli freddi dei pensatori di
un certo islam che aspirano a sottomettere il pianeta, tutto questo
potrebbe incoraggiare la visione di un mondo allo stremo, destinato alla
violenza o all’alienazione.
Ma mi sembra che se prestiamo
attenzione al fatto che la storia non è mai stata un lungo fiume
tranquillo, i violenti sussulti a cui assistiamo oggi possano essere
interpretati come un parto, più che come un’agonia.
Forse c’è un nuovo mondo che sta nascendo nel dolore.
1)
La morte delle ideologie e la fine delle grandi narrazioni possono
essere considerate come il progresso di un’ottica scientifica. La
scienza procede per grandi ipotesi, ma le sottopone a verifica e al
bisogno le corregge o le abbandona. Il concetto di “revisionismo” non è
scientifico. Forse ben presto impareremo a produrre e sperimentare
ipotesi politiche o socioeconomiche.
2) Viviamo un radicale
cambiamento di scala, che non si limita al nostro pianeta. Stiamo
uscendo pian piano dal geocentrismo: ci sono miliardi di sistemi solari
nella nostra galassia, miliardi di galassie nell’universo conosciuto.
Questa constatazione conforterebbe l’ipotesi che non è la storia che si
conclude, ma la preistoria dell’umanità come società planetaria. La
fantascienza si interessava ai marziani. Ora comincia la storia dei
terrestri.
3) I progressi della scienza sono anch’essi in
accelerazione costante. Oggi sappiamo infinitamente più cose di
cinquant’anni fa, e non possiamo immaginare quale sarà lo stato delle
nostre conoscenze fra cinquant’anni.
4) Una sola finalità: la
conoscenza. L’uomo terrestre nascerà il giorno in cui tutti gli esseri
umani saranno interessati a sapere cosa sono. L’utopia dell’istruzione è
il futuro dell’umanità.
5) Per diventare dei terrestri, ci rimane
solo da riconoscere la tripla dimensione dell’essere umano
(individuale, culturale e generica), ogni individuo deve riconoscere in
sé e in ognuno degli altri la sua parte di umanità generica,
indipendentemente dal sesso e dall’origine. Quando Armstrong ha
camminato sulla Luna abbiamo detto: l’uomo ha camminato sulla Luna. Io
amo citare la formula di Sartre: «Ciascun uomo è tutto l’uomo».
6)
La dimensione generica è transculturale. Oltrepassa l’identità
ristretta di ogni cultura; è compito della democrazia sciogliere più che
può la tensione tra le costrizioni del “senso sociale” che definisce le
relazioni all’interno di una cultura e il bisogno di iniziativa
dell’individuo, altrimenti detto libertà individuale.
( Traduzione di Fabio Galimberti)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
ILLUSTRAZIONE DI OLIMPIA ZAGNOLI
L’AUTORE
L’antropologo
francese Marc Augé ( nato a Poitiers nel 1935) ha discusso sul tema
della fine del mondo in una conferenza al Centro per l’Arte
Contemporanea Luigi Pecci di Prato che ha riaperto sotto la direzione di
Fabio Cavallucci. Gli ultimi titoli pubblicati in Italia da Augé sono:
Le tre parole che cambiarono il mondo ( Raffaello Cortina) e Creatività e
trasformazione firmato con Vittorio Gregotti ( Marinotti)