mercoledì 9 novembre 2016

Repubblica 9.11.16
Renzi e la resa dei conti nel Pd “Se vinco subito il congresso”
Il piano del premier, se prevarrà il Sì, è ridimensionare la minoranza e ridurne la presenza nelle liste elettorali delle prossime elezioni
di Goffredo De Marchis

ROMA. Regolare subito i conti con Bersani. Senza espulsioni, senza «cacciare nessuno» ma convocando immediatamente il congresso del Pd per capitalizzare l’eventuale vittoria del Sì al referendum e ridurre la minoranza a un pugno di dirigenti. Con conseguenze dirette sulle liste elettorali delle politiche dove Luca Lotti, il braccio destro di Matteo Renzi, farà valere le percentuali delle assise, non regalando nulla, tantomeno sui capilista bloccati previsti dall’Italicum.
Oggi la minoranza, Cuperlo compreso, quando si conta in direzione, balla intorno ai 10 voti. Alla Camera i bersaniani sono 20, al Senato i dissidenti certificati invece arrivano a 10. Non sono grandi numeri, anche se variano a seconda delle battaglie interne. Ma sono certamente destinati a cambiare in caso di vittoria del No, aumentando. Potrebbero essere diversi, e al ribasso, se invece la riforma costituzionale ottenesse il via libera degli elettori. E il passaggio congressuale si trasformerebbe nella grande occasione renziana di fare piazza pulita «degli equivoci non delle persone». Per questo il congresso verrebbe anticipato e non di poco.
Negli scenari del futuro, il premier non ha mai messo in discussione una promessa che ha fatto tempo fa: «Il congresso voglio svolgerlo nella prima metà del 2017, sei mesi prima della scadenza naturale della fine dell’anno». Lo ripete anche in questi giorni di forsennata campagna referendaria. Lo confermano i fedelissimi: «Questo è ciò che ha annunciato e quello che vuole davvero».
Le assise del Pd hanno un percorso lungo e complicato: campagna di tesseramento, candidature, voto degli iscritti sui candidati, poi i primi classificati si sottopongono al giudizio definitivo delle primarie aperte. E la carica di segretario e possibile premier coincidono. È un viaggio che dura almeno tre mesi, quindi sostanzialmente si ripartirebbe subito, poche settimane dopo il 4 dicembre.
Se Bersani e D’Alema pensano che la vittoria del Sì verrà sfruttata per andare alle urne il prima possibile, a Palazzo Chigi proiettano un altro film concentrato sul partito: capitalizzare il Sì per chiudere la partita con la minoranza attraverso il congresso. Scadenza naturale per le politiche, dunque, al febbraio 2018: questa è la versione dei renziani in attesa anche di valutare le reali dimensioni di un’eventuale vittoria referendaria. Anticipo invece della resa dei conti nel Partito democratico. Insomma, sia i renziani sia gli antirenziani preparano le mosse intorno al Pd, più ancora che intorno al futuro del governo. Chiedendo immediatamente la testa di Renzi segretario se vince il No, provando a ridimensionare la minoranza se vince il Sì.
Improvvisamente nel Pd verrà riscoperta la centralità del partito, il suo ruolo, la sua funzione, la sua capacità di essere un architrave del sistema, del governo e della maggioranza parlamentare.
Allo stesso tempo proprio il partito diventerà il luogo dello scontro finale, della possibile scissione, la culla delle due sinistre alla fine divise ufficialmente e armate una contro l’altra.
Ecco perché torna in mente un’antica dichiarazione di Gianni Cuperlo: «Il vero congresso del Partito democratico è il referendum ». Lì infatti si capirà quale strada prenderanno i dem, se staranno ancora insieme e come.