mercoledì 9 novembre 2016

Corriere 9.11.16
Comunque vada il 4 dicembre non ci saranno vincitori nel PD
Il rischio di un’esplosione nel centrosinistra è dato per scontato
E Renzi fa fatica a intercettare l’Italia del Sì
di Massimo Franco

L’aura della sconfitta che si addensa sul Pd prescinde dal risultato del referendum del 4 dicembre. Il fatto che se vince il Sì prevalga «un» partito, quello di Matteo Renzi, e se si afferma il No «l’altro» Pd, dominato dagli avversari, già dice tutto. Trasmette l’impressione di una scissione in incubazione, che nessuno dei due schieramenti interni sembra in grado di fermare. Quando il premier accusa «quelli di prima» di volere «tornare a governare», parla anche di esponenti della forza di cui è segretario. E lascia capire che la loro sopravvivenza sarebbe la sua fine.
L’ex leader Pier Luigi Bersani assicura che la sorte del governo c’entra poco con la consultazione referendaria. Nega la volontà di dare una spallata all’esecutivo, come sostiene Renzi. Ma che nella minoranza Dem uno degli obiettivi principali sia quello di ammaccare il capo del partito, è più di un sospetto. D’altronde, lo stesso Bersani ha anticipato la richiesta di uno sdoppiamento del ruolo di premier e segretario al prossimo congresso del Pd. A conferma di una crisi senza lieto fine, si infittisce il coro di chi si assegna il ruolo di sminatore del centrosinistra.
La sua esplosione dopo il 5 dicembre è una delle previsioni più scontate; e questo nonostante il Pd sia il partito intorno al quale ruota il governo. «La scissione non esiste nel nostro dizionario», la esorcizza il vicesegretario Lorenzo Guerini. Eppure, a Renzi si imputa di non essere riuscito in tre anni non tanto a governare l’Italia ma le proprie truppe. Quanti avevano appoggiato le sue riforme ora le boicottano. E le sconfitte collezionate a livello locale hanno ridato coraggio e voglia di resa dei conti alla minoranza. Ma è difficile che dalla nomenklatura Dem emerga un vincitore.
La confusione e la propaganda che sovrastano la discussione sulle riforme costituzionali rimandano a responsabilità trasversali. «Gli italiani non sanno nemmeno su cosa si vota, ed è comprensibile», ammette Renzi. «Sono mesi che non si capisce il quesito: devi dire sì o no a una domanda non a uno stato d’animo e la domanda non è chiara fino in fondo». Parole singolari, pronunciate da chi il referendum l’ha voluto; e moltiplica le sue apparizioni e i suoi comizi per vincere. Il timore di una sconfitta è palpabile, nonostante i sondaggi non diano segnali definitivi; e può portare a sbagliare toni e argomenti.
La realtà è che forse esisterebbe una maggioranza del Paese a favore del Sì. Ma Renzi fatica a intercettarla. La sua retorica contro l’Ue rischia di avvantaggiare M5S e Lega. E il piglio aggressivo verso la minoranza Pd ha effetti controversi. Nella cerchia renziana la preoccupazione lievita. Ieri Guerini ha detto che «la politica serve innanzitutto per cambiare i sondaggi». Traduzione: vanno male. La domanda tuttora senza risposta è se i sondaggi stiano cambiando in meglio o in peggio.