La Stampa 9.11.16
Torna un classico
Ecco la rottura tra riformisti e massimalisti
di Marcello Sorgi
Lo
 scontro sul referendum tra Renzi e Bersani, e tra maggioranza e 
minoranza all’interno del Pd, è destinato a pesare sulle ultime 
settimane di campagna. Da domenica, quando la base leopoldina ha 
cominciato a gridare «fuori, fuori!» contro i bersaniani che votano «No»
 (e il giorno dopo a Frosinone i renziani hanno invitato il loro leader a
 «cacciare D’Alema»), s’è innescata un spirale che può portare alla 
scissione del partito fondato nove anni sulla confluenza dei 
post-democristiani di sinistra e dei post-comunisti. Non si tratterebbe,
 in ogni caso, di un divorzio tra le due anime del Pd; piuttosto di una 
rottura tra riformisti e massimalisti, un classico della storia della 
sinistra.
Bersani - che ha perso per strada molti pezzi della sua 
corrente, ministri come Orlando e Martina, front-runners della 
dissidenza come Chiti e Rossi, il presidente del partito Orfini e 
l’ex-presidente Cuperlo, firmatario il documento sul cambiamento 
dell’Italicum e per questo accusato di tradimento -, prima ha detto che 
per farlo uscire dal partito occorrerebbe «chiamare l’esercito», poi è 
stato più possibilista, accusando Renzi di aver troppo tiepidamente 
rintuzzato quelli che gridano «fuori, fuori!» perchè in sostanza è 
d’accordo con loro. Il premier, dal palco della Leopolda gli ha 
ricordato che, in America, Sanders, battuto alle primarie dalla Clinton,
 ha fatto la campagna per lei. Bersani ha ribadito che il suo impegno 
per il «No» è mirato a trattenere nelle file del Pd chi è contrario alla
 riforma, ma non ha spiegato perché, pur dichiarando di avere un così 
forte ascendente su questa parte dell’elettorato di sinistra, non ha 
provato a spostarlo a sostegno del «Sì» e del testo che lui stesso aveva
 votato in Parlamento.
Insomma le posizioni sono inconciliabili. 
La situazione ricorda sempre più quella del referendum sulla scala 
mobile del 1985, in cui Craxi era al posto di Renzi e Berlinguer a 
quello di Bersani. Anche allora, quando il leader comunista fu 
sonoramente fischiato al congresso socialista, Craxi non fece nulla per 
tacitare i fischi, ed anzi, salito in tribuna, disse che se avesse 
saputo fischiare si sarebbe unito ai fischiatori.
Oggi tutto è più
 complicato: mentre trent’anni fa la maggioranza di governo, due dei tre
 sindacati, Cisl e Uil, oltre alla componente psi della Cgil, erano per 
il «Sì», che poi vinse nelle urne, stavolta i «No» della minoranza Pd e 
della Cgil, sommati nelle urne a quelli del largo fronte dei contrari 
alla riforma, potrebbero rivelarsi decisivi per arrivare a bocciarla.