Repubblica 8.11.16
Le due sinistre
I bersaniani pronti a 
chiedere le dimissioni di Renzi dal vertice del Pd. Col Sì vincente 
ribelli verso l’addio: “A meno che Matteo non cambi”
Il big bang del 5 dicembre se passa il No la minoranza vuole la resa del segretario
di Goffredo De Marchis
ROMA.
 Se al referendum vince il No la minoranza chiederà la testa del 
segretario prima ancora che del premier. «Un leader che porta il suo 
partito a una sconfitta storica non può rimanere in sella appellandosi 
al congresso vinto 3 anni fa», sentenzia un bersaniano di punta. Per 
rimanere a Palazzo Chigi, Matteo Renzi se la dovrà vedere con Sergio 
Mattarella, i renziani della seconda ora, gli alleati, le opposizioni e 
la sua volontà. I dissidenti, invece, tanto per cominciare, rivogliono 
il Pd. Il resto viene dopo. E se vince il Sì? Pier Luigi Bersani e 
Roberto Speranza dicono che non se ne andranno nemmeno «con le 
cannonate». Renzi giura che i dem «non cacciano nessuno». Ma le 
chiacchiere contano poco. Una convivenza già impossibile sarà misurata 
sul tasso di renzismo con il quale verrà accolto il successo. «Se Renzi 
inizierà a parlare in un altro modo, perché non confonderà la 
maggioranza costituzionale con i voti delle future politiche, il Pd 
vivrà. Altrimenti il Pd non esisterà più», dice Miguel Gotor. Non si 
chiamerà scissione, allora, ma il senso non cambia. Dal 5 dicembre, 
vedremo una ricomposizione dell’area con la nascita di due sinistre, una
 delle quali sarà «il partito di Renzi», chiosa Gotor.
Le due 
sinistre sono in realtà un dato di fatto da molti mesi, per l’esattezza 
dall’elezione di Mattarella al Quirinale che segnò l’ultimo momento di 
vera unità. «C’è una foto di Guerini e Speranza sorridenti e felici quel
 giorno – ricorda Gotor -. Il Pd che poteva essere e non è stato». Pochi
 giorni dopo infatti Renzi capitalizza il successo forzando 
sull’-I-talicum. Nove dissidenti nella commissione parlamentare vengono 
invitati a lasciare, poi il governo metta la fiducia sulla legge 
elettorale. Il capogruppo Speranza, non più sorridente, si dimette e a 
nessun renziano viene in mente di fermarlo. Il canale della fiducia 
s’interrompe, nessuno riuscirà più a riaprirlo. Fino ai giorni nostri, 
con il coro “fuori,fuori” della Leopolda e lo strappo di Bersani che 
accusa Renzi di arroganza e i renziani (Cuperlo compreso?) di 
sudditanza.
Dal momento della vittoria di Renzi alle primarie 
(dicembre 2013) sono stati mesi di incomprensioni, liti, 
incomunicabilità totale con alcuni episodi isolati di armonia: 
l’elezione del Colle, la difficile ma riuscita approvazione delle unioni
 civili. Il primo grande scontro parlamentare è sulla riforma del 
mercato del lavoro. Dopo molte trattative e un voto di compromesso in 
direzione, la minoranza dà il via libera alla legge delega, con la 
promessa che l’articolo 18 non verrà toccato. Ma il governo, al momento 
del decreto, cancella la tutela. Per i bersaniani è un tradimento e una 
sconfitta. «Il lavoro non si crea con le regole», ripete sempre l’ex 
segretario. Comincia da qui una storia di sospetti reciproci. La riforma
 delle banche per una parte del Pd è un favore alle popolari, ma Renzi 
ribalta il discorso ricordando i danni provocati da una certa sinistra 
bancaria in Monte Paschi. La Buona scuola è una legge sbagliata che 
secondo Speranza ha tolto molti consensi in un bacino storico del 
centrosinistra, gli insegnanti. La consultazione sulle trivelle, 
promossa da alcune regioni a guida Pd e sostenuta dalla minoranza, è il 
referendum del “ciaone”: così festeggia il fallimento del quorum Ernesto
 Carbone, “salutando” la minoranza. Renzi celebra l’evento con una 
conferenza stampa che non piace a Bersani.
Nella scorsa 
Finanziaria Renzi abolisce la tassa sulla casa. Per l’ex segretario è 
una misura incostituzionale. «Viola la Carta. Chi ha di più paga di 
meno», dice denunciando l’errore gravissimo che toglie risorse agli 
investimenti e all’occupazione.
Nella manovra di quest’anno 
l’esecutivo introduce una sanatoria per i contanti. La “norma Corona” la
 definisce con disprezzo Bersani alludendo al paparazzo che nasconde i 
soldi nel controsoffitto. «Polemiche per intenditori di birra», è la 
replica di Renzi.
Siamo in piena campagna referendaria e anche 
questa legge di stabilità è motivo di scontro. Ai bersaniani non piace, 
si allude a mance e mancette. Bersani nel videoforum con Repubblica 
spiega chiaramente che i «bonus sono fatti a debito e pesano sul futuro 
dei nostri figli». A proposito del confronto tra passato e futuro che 
secondo Renzi caratterizza il referendum del 4 dicembre. Dopo il quale 
le due sinistre difficilmente resteranno insieme.
 
