Repubblica 8.11.16
L’ipocrisia UE su Erdogan
di Massimo Riva
LA
NUOVA ondata di repressioni liberticide da parte del regime di Erdogan
ha suscitato in Occidente reazioni da manuale del perfetto ipocrita. Di
fronte agli arresti di massa di deputati dell’opposizione e di
giornalisti indipendenti, la Commissione di Bruxelles non ha saputo far
di meglio che esprimere «grave preoccupazione». Mentre il Dipartimento
di Stato americano si è spinto fino a dichiararsi «profondamente
turbato». Nel timore che simili parole potessero infastidire il governo
di Ankara, una voce importante — quella del capogruppo dei popolari
europei a Strasburgo — si è affrettata a ridimensionare il tutto a un
problema di filologia politica. Secondo Manfred Weber, infatti, «è
cruciale che noi discutiamo con i nostri amici (sic!) turchi la
definizione di terrorismo ».
Non c’è da rimpiangere l’epoca in cui
le potenze del vecchio continente affrontavano situazioni consimili con
il metodo dello showing the flag ovvero mandando le proprie cannoniere a
sventolare la bandiera davanti alle coste del paese da richiamare al
rispetto dei diritti fondamentali. Ma se quella cattiva abitudine celava
spesso inconfessabili pulsioni colonialiste, è un fatto che anche le
imbelli reazioni verbali di oggi nascondono una non meno vergognosa
doppiezza. Inutile fare finta di non riconoscerlo: l’Europa e
segnatamente la Germania non fanno nulla contro il dittatore di Ankara
perché si sono consegnate mani e piedi ai suoi ricatti con il patto
scellerato che la cancelliera Merkel ha negoziato in tema di tratta dei
migranti. Patto che, infatti, l’astuto Erdogan minaccia di far saltare
ogni qual volta si levino biasimi al suo feroce disprezzo delle più
elementari regole di democratica e civile convivenza in Turchia.
La
storia delle relazioni internazionali è ricca di patti diabolici anche
fra soggetti tra loro politicamente incompatibili, basti pensare
all’intesa Ribbentrop-Molotov. Ma raramente così squilibrati e
autolesionisti come quello sottoscritto ora con la Turchia. Perché, a
fronte del momentaneo sollievo sul versante della pressione migratoria,
l’Europa ha messo sul proprio piatto della bilancia l’abdicazione alla
difesa di quel principio fondante della sua stessa esistenza che si
riassume nelle parole democrazia e Stato di diritto. Sarà che accettare
sfide così rischiose appartiene alla tradizione culturale germanica: nel
patto di sangue che stringe con Mefistofele, Faust mette in gioco
niente meno che la sua anima. Ma almeno Goethe glielo fa fare dietro
l’alibi ideale di una maggior conoscenza dei segreti della natura. Non
per rinuncia a misurarsi con la scomoda e materialissima realtà del
fenomeno migratorio. Per giunta, con il malcelato intento di trovare chi
faccia il lavoro sporco di gestire (a pagamento) nuovi lager al posto
di un’Europa incapace di far rispettare al suo interno quei principi che
vorrebbe diffondere nel mondo. Col Mefistofele di Ankara, grazie a
Berlino, l’Ue non ha fatto una scommessa: gli ha già venduto l’anima.
Tanto
che il ministro degli esteri turco ha potuto replicare ai pavidi moniti
di Bruxelles con parole sprezzanti: «Non accetteremo lezioni sullo
Stato di diritto dall’Unione europea». Può sembrare un paradosso, ma non
lo è. In effetti, che lezioni può dare chi, per bassi interessi di
bottega, sa solo balbettare davanti a quel che accade in Turchia?