il manifesto 8.11.16
Gli Usa promettono Raqqa alla Turchia
Siria/Iraq.
Alla guerra con l’Isis Washington manda i kurdi, ma poi si accorda con
Ankara per governare la città una volta liberata («L’operazione richiede
forze arabe e sunnite») e apre anche alle opposizioni a Damasco,
rischiando di aprire un nuovo fronte nella guerra civile
di Chiara Cruciati
La
battaglia finale contro l’Isis è ufficialmente iniziata. Dopo Mosul, è
la volta di Raqqa. Le stesse contraddizioni visibili in Iraq dal 17
ottobre, quando la controffensiva è partita, emergono in Siria: non si
tratta solo di cacciare lo Stato Islamico dai territori che occupa da
tre anni ma di definire il futuro dei due paesi.
Se a Mosul ogni
forza anti-Isis in campo – kurdi iracheni, turchi, milizie sciite,
governativi – ha obiettivi diversi, sulla “capitale” siriana del
sedicente califfato stanno marciando le Forze Democratiche Siriane
(Sdf), federazione di arabi, turkmeni, circassi guidata dai kurdi di
Rojava, spauracchio della Turchia che ha i propri militari a poco più di
100 km di distanza.
A rimestare nel caos è proprio Ankara che a
poche ore dal lancio dell’operazione Ira dell’Eufrate da parte delle Sdf
già tuonava contro l’alleato statunitense che sostiene l’avanzata con
raid aerei. Ma le forze Usa sarebbero anche sul campo sotto forma di 50
soldati tra consiglieri militari e unità speciali, secondo fonti locali.
Di certo Washington – che calcola in un paio di mesi il tempo
necessario a liberare Raqqa – ci mette già il cappello.
Per ora
nessuna reazione da Damasco e Mosca, concentrate su Aleppo: ieri la
Russia ha detto di voler proseguire con la tregua a meno di un’altra
offensiva delle opposizioni. Fasulla è invece la rabbia turca con il
vice premier Kurtulmus che avverte del pericolo di una modifica della
demografia della città a maggioranza sunnita. I kurdi siriani assicurano
che non avverrà: la Raqqa liberata sarà gestita da un consiglio civile e
militare composto dai suoi residenti, dice Jihan Sheikh Ahmad, la
portavoce delle Sdf. Ovvero un governo locale sul modello di quello di
Manbij, liberata ad agosto. I kurdi non nascondono l’interesse ad
ampliare il sistema politico di Rojava, un confederalismo democratico
dove operano assemblee di quartiere, di villaggio e regionali.
Ma
la rabbia è fasulla perché la Turchia sa di avere poco da preoccuparsi:
il capo di stato maggiore turco Akar e quello Usa Dunford si sono
incontrati ad Ankara due giorni fa e accordati sul futuro di Raqqa.
Mentre alle Sdf avrebbe detto che non permetterà la partecipazione turca
(come riporta il portavoce kurdo Sello), ad Ankara Dunford ha promesso
che i kurdi isoleranno la città ma non entreranno. Al contrario, ha
detto il generale Usa, «la coalizione e la Turchia lavoreranno insieme
per prendere e governare Raqqa, l’operazione richiede forze arabe e
sunnite: l’opposizione siriana, l’Esercito Libero Siriano».
Dichiarazioni pesanti che aprirebbero allo scontro con Damasco anche a
Raqqa, dopo Aleppo.
Intanto le Sdf si stanno già muovendo. Alcuni
villaggi sono stati liberati, prima fase dell’operazione che prevede la
ripresa della periferia della città così da tagliare le vie di
rifornimento (e di fuga) dei miliziani islamisti. Sarebbero 30mila i
combattenti per una controffensiva complessa: se a Mosul l’Isis compie
le peggiori barbarie per difendere la sua roccaforte, a Raqqa farà di
più. In molti danno per certa la presenza dei leader militari del gruppo
in città, dopo essere fuggiti dall’Iraq grazie anche ai “corridoi”
ufficiosi aperti dalla coalizione per svuotare Mosul.
Anche nella
città irachena prosegue l’avanzata anti-Isis. I governativi sono a 4 km
dall’aeroporto e 2mila peshmerga sono entrati a Bashiqa, nord-est di
Mosul. Dentro, a opporre l’ultima resistenza, ci sono cento miliziani e
dieci autobombe pronte ad esplodere, dice il colonnello Rasoul. Ma
l’Isis si difende anche con missili pieni di cloro e droni esplosivi,
aggiunge, e domenica ha dato alle fiamme 19 giacimenti petroliferi,
creando la cortina di fumo necessaria a annullare la visibilità ai jet
della coalizione. E colpisce anche a distanza: ieri due kamikaze hanno
ucciso 22 persone tra Samarra e Tikrit.
Proprio un attacco
dell’Isis a Kirkuk lo scorso 21 ottobre, secondo Amnesty, sta dietro la
cacciata di 250 famiglie arabe dalla città da parte delle autorità
kurdo-irachene di Erbil. Intanto l’esercito di Baghdad ha trovato una
nuova fossa comune a sud di Mosul: 100 corpi decapitati, ormai ridotti a
scheletro.