Repubblica 8.11.16
Tour in New Hampshire, Pennsylvania e Michigan, utili per la soglia dei 270 elettori Trump ci crede: “Vittoria senza precedenti”
L’affondo di Obama
Tre comizi in un giorno per convincere gli operai tentati dal tycoon
di Federico Rampini
NEW
YORK RICORDATEVI in che stato eravamo otto anni fa. Date a Hillary la
fiducia che allora avete avuto per me». Barack Obama si lancia nel suo
ultimo tour de force elettorale, «con un po’ di commozione».
TRE
COMIZI in un giorno, tre Stati diversi: Michigan, New Hampshire,
Pennsylvania. Una sintesi geografica del “fire-wall”, muraglia
antincendio che deve arginare le fughe di voti democratici. In primo
luogo Obama parla agli operai metalmeccanici tentati da Donald Trump. E
torna a definire Trump «caratterialmente inadatto a fare il presidente».
Sui 142 milioni di elettori chiamati alle urne, sia per eleggere il
presidente che per i rinnovi di Camera e Senato, oltre 41 milioni hanno
votato in anticipo com’è consentito.
È l’incubo dei democratici, a
lui Obama dedica la prima tappa del suo ultimo tour in campagna: Ann
Arbor, Michigan, lo Stato di Detroit, culla dell’industria
automobilistica. «Mi commuovo, questo probabilmente sarà il mio ultimo
giorno di campagna elettorale». Poi il presidente passa all’attacco:
«L’industria automobilistica era al tappeto, si è risollevata e batte i
suoi record storici». Merito di un salvataggio pubblico, una breve
nazionalizzazione che nel 2009 salvò General Motors e Chrysler: non
furono solo i banchieri di Wall Street a ricevere soldi del
contribuente. Oggi l’operaio bianco che vota Trump sembra aver
dimenticato che il suo posto di lavoro lo difese Obama. Quanto
all’affarista newyorchese: «Lui ha detto che bisognava lasciar fallire
le case automobilistiche», ricorda il presidente.
«Se qualcuno non
sa gestire un account di Twitter, voi gli dareste un arsenale
nucleare?». Obama commenta così la notizia secondo cui i collaboratori
di Trump gli avrebbero vietato di twittare negli ultimi giorni: le sue
eruzioni di tweet alle tre di notte erano leggendarie e gli nuocevano.
«Caratterialmente inadatto alla presidenza», lo definisce Obama. Questo
ricorda che la posta in gioco è forse perfino maggiore per il resto del
mondo. Anzitutto, perché un presidente degli Stati Uniti ha poteri
pressoché illimitati solo in politica estera, può invadere o bombardare
paesi stranieri a piacimento, mentre non può alzare una tassa o varare
nuove spese pubbliche senza il via libera del Congresso. E poi perché
questa crisi della democrazia americana coincide con l’ascesa di nuovi
modelli autoritari, dalla Cina alla Russia alla Turchia, pronti a
“riempire il vuoto” lasciato da un’America in ripiegamento.
Il
voto di oggi rinnova anche la Camera e un terzo del Senato, ambedue a
maggioranza repubblicana. Il Senato è decisivo per approvare le nomine
del presidente a cominciare dalla Corte suprema. Chi tenta di
sdrammatizzare l’incognita-Trump ricorda che l’America ha un sistema
politico fatto di
check and balance,
contropoteri e
bilanciamenti. Ma se vincesse la destra — Trump ha promesso ieri un
trionfo «senza precedenti» — potrebbe spostare anche la Corte suprema.
Inoltre, come si è visto con il comportamento destabilizzante dell’Fbi,
non si può dare per scontato che esistano anticorpi sufficientemente
robusti per contenere pulsioni autoritarie.
FIRE-WALL, IL MURO PER DIFENDERE QUOTA 270
I
tre ultimi Stati visitati da Obama sono tutti parte di quello che i
sondaggisti definiscono “muro antincendio”: la sequenza degli Stati
indispensabili per garantire a Hillary la soglia magica dei 270
elettori, necessaria per conquistare la Casa Bianca. Solo di recente
Michigan e Pennsylvania sono scivolati verso la zona degli Stati in
bilico, o a rischio di una rimonta inaspettata di Trump, proprio a causa
della classe operaia. A Philadelphia Obama cura anche l’elettorato
afroamericano, meno entusiasta che nel 2008 e 2012: «Fate per Hillary
quello che avete fatto per me».
L’aritmetica è complicata dal
fatto che in America non basta essere cittadini per votare. Ai 220
milioni di cittadini maggiorenni (su 325 milioni di residenti totali,
stranieri inclusi) bisogna togliere i condannati penali e altri privati
del diritto di voto e si scende a 208 milioni. Poi però bisogna
“registrarsi” nelle liste elettorali, e solo 142 milioni lo hanno fatto.
Di questi, l’ultima volta votarono solo il 61%.