Repubblica 7.11.16
Quando l’Occidente somigliava all’Oriente
La scienza araba adottata dai greci. I fasti di Venezia L’Egitto di Marinetti. Così dialogavano le due culture
di Stefano Malatesta
Qualche
anno fa ho ricevuto dal mio amico Giovanni che vive a Bibbiena nel
Casentino, uno strano plico, di cui stava facendo un difficile editing.
Giovanni aveva lavorato per ventuno anni per Penguin Books, ma non
riusciva a venirne a capo di quella massa di capitoli slegati e bozze
cominciate e non finite che riguardavano un solo argomento. Il nome
dell’incartamento era: “Quello che sembra occidentale ma che è in realtà
orientale”. L’autore era uno studioso inglese di lingue orientali, e
viveva ad Oxford dove andava sempre a scrivere la mattina all’Ashmolean
Museum. Giovanni lo descriveva per metà come
topo da biblioteca e
per l’altra metà come un eccentrico viaggiatore che conosceva tutti i
posti raggiungibili e irraggiungibili del Medioriente e dell’Asia
centrale. E diceva anche che assomigliava a Tolkien, come gusto
letterario e storico. Questo eccentrico aveva una visione molto diversa
dalla vulgata tradizionale che vedeva nelle crociate il momento decisivo
per il sorpasso dell’Occidente rispetto all’Islam. I crociati erano
stati sconfitti dalle truppe del grande comandante curdo Salah al-Din
Yusuf ibn Ayyub conosciuto in Europa come “Saladino” e avevano dovuto
lasciare la Palestina. Ma portavano con loro un bagaglio immenso di
nozioni, conoscenze, tecnologie e innovazioni senza le quali non si
sarebbero fondate le basi per il Rinascimento.
L’inglese non era d’accordo con questa ricostruzione e anticipava di sei secoli il passaggio del
know
how dall’Oriente a Occidente. Dopo le invasioni barbariche in Europa
erano rimasti solo i muri per piangere. La ricostruzione dell’Europa
avvenne non per mano degli europei, ma dei siriani, dei bizantini, degli
egiziani che avevano già nel V-VI secolo posato il loro sapere in
Europa. Come poteva un popolo inseguito dagli Unni e che si era
rifugiato nelle isole fangose dell’alto Adriatico costruire la città più
bella che si sia mai vista, senza l’aiuto delle maestranze orientali,
falegnami, carpentieri, ingegneri idraulici, maestri del vetro,
dell’oreficeria, architetti bizantini?
Venezia non è stata una
città occidentale che ha caratteristiche orientali, ma una città
orientale nel pieno senso della parola, la più bella di tutte. Delle
1500 colonne che ornano la Basilica di San Marco non c’è ne è una che
non provenga dall’Oriente. La pala d’oro che sta sull’altare, la
quadriga di bronzo che domina la basilica, il Moro e centinaia di altre
sculture sparse per la città sono parte del pagamento ai veneziani per
aver trasportato i crociati con le loro navi fino a Bisanzio. Le
cattedrali di Pisa e di Lucca sono state costruite tenendo a memoria la
moschea degli Omayyadi di Damasco. E così la moschea di Santa Sofia di
Istanbul disegnata da due architetti greci, è stata per sempre il
modello di riferimento per le grandi costruzioni. In certi periodi
l’arte e l’architettura musulmane hanno raggiunto il centro dell’Europa.
Carlo Magno fece costruire ad Aquisgrana la cappella palatina sul
modello del Tempio di Gerusalemme.
Tutte le conoscenze
scientifiche dei greci passate agli ebrei e agli arabi, dopo il crollo
della cultura classica, venivano dal Medioriente e non come si credeva
dall’Europa. I vetri di Venezia non erano stati inventati da qualche
artigiano di Murano della laguna veneta, ma provenivano dal mercato del
Cairo. Quando le navi mercantili venete si avvicinavano al Levante
abbassavano dal pennone l’insegna del leone di Venezia e issavano quella
della luna crescente fertile; così potevano trasportare tutte le merci e
l’unico pericolo erano le navi dei genovesi in agguato dietro i
promontori.
La nascita della cavalleria, un’arma che dominò
l’Europa fino all’arrivo dei fanti svizzeri con le picche, viene datata
dal grande storico del Medioevo Duby intorno al 1100 durante la
battaglia di Bouvines. In realtà sei secoli prima un’armata di cavalieri
catafratti, ricoperti da capo a piedi di bronzo e che potevano caricare
con la lancia in resta anche se il cavallo non aveva le staffe, avevano
sconfitto due legioni romane guidate dagli imperatori che furono fatti
prigionieri. La descrizione che ci dà il grande storico Ammiano
Marcellino della battaglia è impressionante. I cavalieri apparvero
all’alba illuminati da una luce livida che faceva riflettere il bronzo,
terrorizzando i legionari, che non ressero alla carica nemica.
Tutte
le culture mediterranee ed europee sono un groviglio inestricabile di
Occidente e di Oriente, di sud e di nord, nelle quali è difficile
risalire per li rami. Atene, nell’antica Grecia, era molto diversa da
quella che ci ha fatto vedere Winckelmann, bianca e immacolata. La
statua crisoelefantina di Zeus a Olimpia era colorata di rosso e il
paese emanava un profumo orientale come una vera città del Levante. Gli
dei dell’Olimpo erano trattati bonariamente come leggende tradizionali,
vere o false non importava. Più immagini paternalistiche che veri e
propri dei. Quando i Greci volevano conoscere il loro “ineluttabile
fato” si infilavano nelle spaccature delle rocce o nelle grotte fumanti,
abitate dalle maghe e dalle sibille che venivano dall’Oriente, con uno
spiccato gusto per il mistero e per la violenza. E chi ha improntato
l’arte della vera cultura greca non è Apollo, nonostante le migliaia di
statue, ma Dioniso.
Così quello che sta succedendo in Medioriente
non riguarda solo egiziani o siriani, ma interessa direttamente gli
europei. All’epoca il Cairo era la più bella città del mondo, i
musulmani si mischiavano con i cristiani e gli ebrei. Lì compresi la
vera elegan- za del deserto. Quando andavo in Egitto mettevo in valigia
due racchette Maxima incordate con il budello, come si usava, e la
mattina dopo andavo a giocare a tennis nell’isola Abamelek in mezzo al
Nilo. All’alba soffiava un vento profumato di aloe dal deserto e faceva
ancora fresco e l’isola Abamelek era un posto incantato. La prima volta
che ci ho messo piede avevo fatto attenzione a non essere troppo
elegante per non mettere in imbarazzo l’allenatore di tennis. Quando
arrivai, era vestito infinitamente molto meglio di me, con una maglia
Lacoste, la prima che abbia mai visto, e portava i calzoni lunghi
bianchi come una volta faceva il famoso giocatore Pancho Gonzales.
Finita la partita mi precipitavo al Caffè Groppi dove facevano i
migliori bignet alla crème chantilly e i migliori marron glacé che abbia
mai assaggiato.
Ad Alessandria d’Egitto si potevano incontrare il
padre del Futurismo Marinetti, Ungaretti, lo scrittore Forster, autore
della migliore guida di Alessandria, e il grande Kavafis, che abitava su
Rue Leptus, trasformata alla sua morte in un museo che racchiudeva i
suoi scritti e le lettere inviate da T. S. Eliot.
So che non vedrò
più questi posti, ma posso ricordarli. Sto mettendo mano ad una collana
intitolata l’Oriente perduto. Saranno libri illustrati sull’Oriente: la
storia dell’Impero ottomano di Leopold von Ranke, la Caduta di
Costantinopoli di Steven Runciman, The blue Nile di Alan Moorehead, lo
Smeraldo dei Garamanti del grande transahariano Théodore Monod. E ci
sarà anche Assassinio sul Nilo di Agatha Christie con Poirot che svela i
misteri anglo-egiziani. E sarà un ritorno in patria.