Repubblica 7.11.16
La provocazione di Zizek su Trump “Meglio votare lui così la sinistra si sveglia”
“Trump porta la moralità allo sfacelo, Clinton la prospettiva di un’altra guerra mondiale”
Il filosofo sceglie il candidato anti-establishment “Scuoterà i veri progressisti”
di Slavoj Zizek
IL
FILOSOFO Slavoj Zizek, 67 anni, è un filosofo, professore universitario
e teorico della sinistra sloveno. Tra i suoi ultimi libri, “ La nuova
lotta di classe. Rifugiati, terrorismo e altri problemi coi vicini”
(Ponte alle Grazie, 2016)
BASTA la “paura” di far
vincere Donald Trump per votare Hillary Clinton? Il dibattito ha
coinvolto negli Stati Uniti attivisti, politologi e star dello
spettacolo che si erano schierati per Bernie Sanders nelle primarie
democratiche. La candidata “dell’establishmente e delle banche” non
piace a molti sostenitori della sinistra radicale che non hanno
accettato il passo indietro in nome dell’unità del partito e del “meno
peggio”. In questo articolo il filosofo sloveno, teorico della sinistra,
Slavoj Zizek interviene in modo provocatorio in questo dibattito. In un
mondo ideale, dice Zizek, la sola vera scelta possibile tra un
candidato che ci porterà a “un’altra guerra mondiale” (Clinton) e uno
che si fa “beffa delle regole del vivere civile” sarebbe non votare. Ma
almeno, aggiunge, una vittoria di Trump avrebbe il merito di scuotere la
sinistra dall’inerzia che l’ha colpita in questi anni. Zizek aveva
esposto queste tesi in un intervento per la tv britannica [/CAPL2-NE]
Channel 4: il video con il suo inatteso endorsement per Trump, diventato
virale sui social, è stato riprodotto tre milioni di volte, suscitando
polemiche all’interno della sinistra. Negli Usa che domani eleggono il
loro presidente, come nel resto del mondo
SARAMAGO in
“Saggio sulla lucidità” narra le vicende accadute in un non meglio
identificato paese democratico. La mattina delle elezioni è guastata da
piogge torrenziali e l’affluenza alle urne è preoccupantemente bassa, ma
a metà pomeriggio il tempo si rimette e la popolazione accorre in massa
ai seggi. Il sollievo del governo ha però breve durata, in quanto lo
scrutinio rivela che più del 70% delle schede sono bianche. Sconcertato
da questa apparente mancanza di senso civico il governo concede ai
cittadini l’opportunità di rimediare con un’altra elezione a solo una
settimana di distanza. L’esito è ancor peggiore: questa volta l’83%
delle schede sono bianche. Si tratta di un complotto per rovesciare non
solo il governo in carica, ma l’intero sistema democratico?
La
morale di questo esperimento concettuale è chiara: il pericolo oggi non è
la passività, bensì la pseudo-attività, il bisogno di “agire”, di
“partecipare” per nascondere la vacuità di ciò che accade. La gente
interviene di continuo, “fa qualcosa”. La vera difficoltà è fare un
passo indietro. L’astensione alle urne è quindi un vero e proprio atto
politico, che ci obbliga a confrontarci con la vacuità delle democrazie
odierne.
In un mondo ideale è esattamente così che dovrebbero
comportarsi i cittadini di fronte alla scelta tra Clinton e Trump. Trump
è ovviamente “peggio” perché promette una svolta a destra e porta la
moralità pubblica allo sfacelo; quanto meno però promette un
cambiamento, mentre Hillary è “peggio” perché spaccia per desiderabile
l’assenza di cambiamento. Trump vuole rifare grande l’America e Obama
gli ha risposto che l’America è già grande — ma è vero? Un paese in cui
uno come Trump ha l’opportunità di diventare presidente può davvero
essere considerato grande? I pericoli di una presidenza Trump sono ovvi:
non solo Trump promette di nominare giudici conservatori alla Corte
Suprema, non solo mobilita i più cupi circoli dei suprematisti bianchi e
flirta con il razzismo anti-immigrati; non solo si fa beffa delle
regole del vivere civile e simboleggia la disintegrazione delle norme
etiche fondamentali; Trump si pone come difensore della gente comune in
difficoltà, mentre in realtà è fautore di un brutale programma
neoliberista con sgravi fiscali per i ricchi, ulteriore deregulation e
così via. Ebbene sì, Trump è un volgare opportunista, ma è pur sempre un
volgare esemplare di umanità.
Fredric Jameson invitava a ragione a
non definire frettolosamente il movimento di Trump un nuovo fascismo.
Innanzitutto il timore che la vittoria di Trump trasformi gli Usa in uno
stato fascista è un’esagerazione ridicola. Da dove nasce quindi questa
paura? È chiaro che ha la funzione di unirci tutti contro Trump,
offuscando così le reali divisioni politiche esistenti tra la sinistra
resuscitata da Sanders e Hillary, che è LA candidata dell’establishment,
sostenuta da una variegata coalizione, che va dai veterani della guerra
fredda di Bush come Paul Wolfowitz all’Arabia Saudita. In secondo luogo
resta il fatto che Trump è sostenuto dalla stessa indignazione che ha
mobilitato i supporter di Bernie Sanders, è visto dalla maggioranza dei
suoi sostenitori come il candidato anti-establishment. I progressisti
che paventano la vittoria di Trump non temono in realtà una svolta
radicale a destra. A spaventarli è semplicemente un reale, radicale
cambiamento sociale. I liberal ammettono le ingiustizie della nostra
vita sociale (e ne sono sinceramente preoccupati), ma vogliono porvi
rimedio con una “rivoluzione senza rivoluzione” come diceva Robespierre
(in perfetto parallelo con il consumismo odierno, che offre caffè
decaffeinato, cioccolato senza zucchero, birra analcolica,
multiculturalismo senza scontri violenti e così via): la visione del
cambiamento sociale senza vero cambiamento, in cui nessuno si fa male
sul serio, in cui i progressisti dotati delle migliori intenzioni
restano tranquilli nel bozzolo delle loro enclave sicure.
La
vittoria di Hillary è la vittoria dello status quo, dominato dalla
prospettiva di un’altra guerra mondiale (e Hillary è proprio la tipica
democratica combattente della guerra fredda), lo status quo di una
situazione in cui gradualmente, ma inevitabilmente, scivoliamo verso la
catastrofe ecologica, economica, umanitaria e di altro genere. La
vittoria di Trump contiene in sè un grave rischio, non c’è dubbio, ma la
sinistra sarà mobilitata solo dalla minaccia di una catastrofe. Né
Clinton né Trump stanno «dalla parte degli oppressi», per cui la vera
scelta è astenersi dal voto o scegliere tra i due quello che, pur non
valendo nulla, apre le maggiori possibilità che si inneschi una nuova
dinamica politica che possa condurre alla massiccia radicalizzazione
della sinistra.
(Traduzione di Emilia Benghi)