Repubblica 7.11.16
Quegli anatemi di Radio Maria pagati con i soldi pubblici
L’emittente
ha ricevuto in tre anni oltre due milioni di fondi statali. Le critiche
della Corte dei conti per l’assenza di criteri per assegnarli.
Insieme a Radio Padania, la stazione di don Fanzaga riceve il 10 per cento di tutti i finanziamenti destinati alla radiofonia
di Sebastiano Messina
LA
radio che lancia anatemi contro le leggi dello Stato è quella che
prende dallo Stato più soldi di tutte le altre radio. È il ricco
paradosso di Radio Maria, quella che ha mandato in onda la sconcertante
teoria di padre Giovanni Cavalcoli, secondo il quale il terremoto che ha
squassato il Centro Italia non sarebbe altro che “il castigo di Dio”
per la legge sulle unioni civili. Teoria che ha fatto infuriare papa
Francesco, ha spinto il Vaticano a prendere le distanze e alla fine ha
costretto la radio a “sospendere” la trasmissione mensile affidata al
religioso.
Ebbene, proprio lo Stato che secondo padre Cavalcoli
avrebbe scatenato “il castigo di Dio” è il finanziatore numero uno di
Radio Maria. Di più: l’emittente religiosa è in cima alla lista delle
radio che ricevono ogni anno un contributo pubblico. Negli ultimi tre
anni di cui si conoscono le cifre, ha incassato 779 mila euro per il
2011, 730 mila per il 2012 e 581 mila per il 2013: due milioni e 90 mila
euro nel triennio. Per svolgere un servizio pubblico? No, a titolo di
“mero sostegno”, in base a una legge di 18 anni fa varata per sostenere
le emittenti locali che però le assicura un canale privilegiato.
Un
dato che la mattina del 3 febbraio scorso non ha impedito al direttore
di Radio Maria, don Livio Fanzaga, di commentare nella sua rassegna
stampa la notizia dell’approvazione della legge sulle unioni civili
paragonando la relatrice del provvedimento, Monica Cirinnà, «alla donna
del capitolo diciassettesimo dell’Apocalisse, la Babilonia» (una
prostituta), e a inviarle la sua macabra profezia: «Signora Cirinnà, lei
oggi brinda prosecco alla vittoria, ma arriverà anche il funerale, stia
tranquilla. Glielo auguro il più lontano possibile, ma arriverà anche
quello» (memorabile la reazione su Facebook dell’interessata, che
rispose con una citazione di Massimo Troisi: “Mò me lo segno”).
Ma
perché questa emittente che lancia anatemi contro le istituzioni gode
di un trattamento privilegiato nella distribuzione delle sovvenzioni
pubbliche? La risposta è in un codicillo contenuto nella legge 448 del
1998 — al comma numero 190 dell’articolo 4, precisamente — che assegna
il 10% dei contributi destinati alle radio locali alle “emittenti
nazionali comunitarie”, e quel “comunitarie” non c’entra nulla con
l’Unione Europea ma serve a distinguerle da tutte le altre che hanno
fini di lucro. Ora, le “emittenti nazionali comunitarie” sono solo due,
nel nostro Paese.
La prima è Radio Maria. La seconda è Radio
Padania, la radio di Matteo Salvini, che riceve esattamente le stesse
somme dell’altra. Eppure la severa relazione che la Corte dei Conti ha
stilato alla fine del 2015 sulla distribuzione di questi aiuti a pioggia
segnala che l’emittente leghista non solo riceve anche i contributi
della Presidenza del Consiglio per le testate gestite da cooperative, ma
a voler interpretare la legge alla lettera non può neanche essere
considerata “nazionale”, visto che trasmette solo in nove regioni, e
sulle altre arriva solo un segnale digitale Dab, captabile solo da
pochissimi apparati.
Ma quali regole devono rispettare, queste due
radio privilegiate, per incassare il contributo statale? Nessuna.
Devono solo «essere in regola con il pagamento del canone, calcolato
nella misura dell’1 per cento del fatturato annuo». Per il resto,
possono mandare in onda quello che vogliono. Non hanno alcun dovere di
svolgere un servizio pubblico, perché la legge del 1998 assegnava
contributi a pioggia con l’unico criterio del «mero sostegno »
all’emittenza locale. Solo per aiutarla a sopravvivere. Nel caso delle
due radio “comunitarie”, però, la Corte dei Conti ha segnalato che si
tratta di non di una regola generale e astratta, in base ai principi
basilari del diritto, ma di una “legge-provvedimento”, stilata su misura
dei beneficiari e vincolando lo Stato ad assegnare loro una quota
prefissata (il 10 per cento del totale).
Il caso delle “parole
offensive e scandalose” apre dunque un nuovo capitolo nella tormentata
storia del finanziamento pubblico alle emittenti private. Un tema di cui
dovrebbe occuparsi presto il Parlamento, anche a costo di sentirsi
annunciare un nuovo “castigo di Dio” da padre Cavalcoli o un altro
“funerale” da don Fanzaga.