domenica 6 novembre 2016

Repubblica 6.11.16
Saskia Sassen “I giovani faranno la Storia”
intervista di Giuliano Aluffi

SASKIA SASSEN
NATA A L’AIA NEL 1947, È UN’ECONOMISTA, STUDIOSA DI MIGRAZIONI E GLOBALIZZAZIONE. INSEGNA SOCIOLOGIA ALLA COLUMBIA UNIVERSITY, DOVE PRESIEDE ANCHE IL COMITATO SUL PENSIERO GLOBALE. IL SUO ULTIMO SAGGIO È “ESPULSIONI. BRUTALITÀ E COMPLESSITÀ NELL’ ECONOMIA GLOBALE” (IL MULINO, 2015). SCRIVE SUL “NEW YORK TIMES” E SUL “GUARDIAN”

IL VELO DELLA SOCIETÀ LIBERALE, sollevato dal vento della globalizzazione, lascia sempre più scoperto il lato feroce e violento dell’America, secondo una delle voci più lucide del panorama intellettuale statunitense, Saskia Sassen, sociologa e docente alla Columbia University.
Quali sono i laboratori sociali più importanti nell’America di oggi?
«Le città, soprattutto quelle che hanno forti divisioni interne: di classe, di politica, di razza. E poi ci sono laboratori più mobili, puntiformi, istantanei: le occasioni di incontro — o meglio, scontro — tra le forze dell’ordine e i diseredati, gli homeless ».
Divisioni e scontri fanno pensare a un disordine generalizzato e sempre più diffuso. C’è qualcuno che ne trae vantaggio?
«La brutalità — e l’America è stata a lungo brutale, basta pensare che solo negli anni Sessanta sono finiti i linciaggi degli afroamericani — oggi si camuffa da intermediazione tra i livelli della società. Ma lascia trapelare la logica sottostante, quella dell’estrazione, che si è imposta su modalità di scambio meno a senso unico, come il commercio. Un esempio è lo spodestamento delle banche da parte della finanza. Le banche vendono denaro che possiedono, in cambio di un interesse. La finanza invece vende qualcosa che non possiede: ecco perché deve invadere famelicamente ogni altro ambito ed estrarre valore ovunque possibile».
E l’America meno fortunata?
«È costretta a svendersi. Ai nove milioni di americani che hanno subìto il sequestro della casa per l’impossibilità di pagare i mutui, fanno da contraltare i massicci acquisti di proprietà immobiliari: c’è un incessante travaso da una parte all’altra della società. Tra il 2014 e il 2015 sono stati spesi più soldi nell’acquisto di case non nuove a Boston che a Hong Kong, più a Austin che a Shanghai, più a Portland che a Milano».
Nelle sue analisi la politica americana sembra impotente, se non complice… «Da un lato ha concesso un enorme grado di autonomia alle organizzazioni più potenti, dall’altro risente dell’impreparazione di legislatori che, di fronte alla complessità di ambiti come la finanza e le telecomunicazioni, preferiscono lasciar fare agli “esperti”, che — naturalmente — sono coloro che già operano in questi settori. Questo è stato un tratto comune a repubblicani e democratici».
Il cittadino americano è solo come il cittadino globale?
«Oggi “cittadino” è un temine ambiguo. Troppi “cittadini” sono discriminati, o marginalizzati o uccisi dalla polizia. E all’altro estremo ci sono troppi privilegiati che non si sentono più cittadini. Magari violano la legge e sono lo stesso ammirati e rispettati. Oppure acquistano appartamenti di lusso per non abitarli mai, aggiungendo desolazione ai centri urbani: una volta vivi e frequentati, oggi spazi del vuoto».
Il futuro è quindi fosco?
«Prevedo ancora più disuguaglianza e decadimento degli standard minimi di vita, più militarizzazione della polizia e incarcerazioni, e più impoverimento della classe media. La democrazia liberale — qui come nel mondo — ha retto fino a quando il consumo di massa era il modello trainante del capitalismo. Oggi che non lo è più, viene allo scoperto la vera natura della democrazia liberale: niente più intermediazione, solo sorda brutalità».
Nonostante tutto, vede ancora qualche possibilità di speranza?
«Nelle università vedo sempre più giovani che si attivano in lotte locali per il bene comune, contro la povertà e per l’ambiente. Sono quelli che si sono mobilitati per Bernie Sanders. Ma più in generale sempre più studenti vogliono studiare le città. Sono accesi dal desiderio di costruire un mondo migliore».