domenica 6 novembre 2016

Repubblica 6.11.16
L’amaca
di Michele Serra
I NERVI a posto sono sempre un obbligo. Ma la campagna elettorale americana, chiunque vinca, è stata davvero terrificante (“disgustosa” secondo Jonathan Franzen), come se la sua trama sortisse non dalla realtà, ma da una serie televisiva pre-apocalittica. Morte del dibattito, dunque della parola politica, rimpiazzata da una brutalità di pensiero e di eloquio che ha in Trump il suo folle campione — un wrestler in andropausa — e nella Clinton l’ultimo, fragile, criticabile argine. Non è nel nome della politica, ma al posto della politica che Trump, in caso di vittoria, reggerebbe il paese più potente e più armato del mondo. E per quanto la politica così come l’abbiamo sempre conosciuta ci sembri sfinita, in balia di forze e di eventi che non è più in grado di governare, se ci aggrappiamo a quella zattera sgangherata è perché temiamo che quanto viene dopo la politica sia peggiore, e porti ignoranza, dolore e sangue in misura perfino maggiore di quanto siamo abituati a vedere. Non è solamente paura dell’ignoto, purtroppo. L’ignoto, in sé, è un mistero che può custodire le cattive come le buone sorprese. È paura anche del noto: dell’odio razziale, del fanatismo religioso, del fascismo, del feticismo delle armi, della sopraffazione come soluzione “virile” e della democrazia intesa come un lusso per gente senza le palle. I maschi bianchi, quando sono poveri e frustrati, non emigrano, non chiedono elemosina, non aspettano un’altra occasione. Fanno la guerra.