Repubblica 5.11.16
Ma stavolta c’è lo spettro sconfitta “Il No è spinto dai nostri traditori”
L’incognita referendum cancella l’euforia delle altre edizioni. Rabbia verso la corrente di Bersani
Cena con amatriciana per “parlare” all’Italia terremotata
di Alessandra Longo
FIRENZE.
Leopolda prudente, Leopolda inquieta, Leopolda arrabbiata. Com’è
diversa questa edizione 2016 dalle altre. Diversa perché c’è un’Italia
che in queste ore soffre tra le macerie, diversa perché il referendum
rende improvvisamente incerta la marcia a lungo trionfale di Matteo,
come lo chiamano qui. Diversa anche perché in una sera grigia, a 50 anni
dall’alluvione di Firenze, le persone che entrano “in stazione” sono
persone qualunque. Se ci saranno star lo vedremo oggi. Intanto si inizia
volutamente sobri, cauti sui numeri. Tanto che c’è chi fa notare come i
tavoli tematici, in genere scenografia del secondo giorno, siano già
allestiti e occupati. Un modo per “riempire” eventuali buchi di
affluenza, come si fa con le aste delle bandiere alle manifestazioni in
attesa della diretta televisiva. Tutto il governo, come dice il sindaco
Nardella, è “pancia a terra” in giro per la campagna referendaria.
C’è
poco da scherzare, in un mese il Pd di Renzi si gioca tutto. «Mi creda è
uno stress – dice Lia, maestra elementare per 44 anni – Beati gli
americani che tra pochi giorni sapranno chi sarà il presidente! Noi
dobbiamo aspettare ancora un mese in questo clima di incertezza».
Leopolda diversa perché la parola sconfitta è ammessa ai tavoli. Può
succedere e, se sarà così, sussurra Rita, bancaria fiorentina, «se
davvero si perde al referendum, sarà colpa dei nostri, di questo istinto
suicida che ci accompagna come una maledizione». Dice ancora Rita: «Ho
un figlio di 21 anni e sa cosa le dico? Se vince il No, mi ha detto che
non rinnova più la tessera del Pd. La riforma non sarà perfetta ma
l’uomo non è un animale perfetto».
Leopolda piena di rabbia,
concentrata nella propaganda, i banchetti carichi di magliette per il
Sì. Marilù, psicologa: «Non vedo più l’assalto al carro del vincitore.
Questa volta ci sono quelli che ci credono veramente, c’è la nostra
gente come Richetti che è tornato». Roberto Medici è un vecchio
“compagno”, arriva da lontano, dal Pci: «C’ero già ai tempi di D’Alema
segretario. Ho votato Cuperlo alle primarie. E’ la mia prima volta alla
Leopolda. Cuperlo lo stimo, è un intellettuale ma è un irrisolto. Avanti
Renzi e se vince il No deve dimettersi e lasciarli friggere». Guai a
nominare la minoranza Pd. Le stesse persone che aspettano pazienti di
mangiare in piatti di plastica i 40 chili di amatriciana di solidarietà,
pronte a fare beneficienza, sibilano commenti terribili nei confronti
degli ex titolari della ditta. Manrico, socialista: «Posso dire che
Bersani è un traditore? Tanto odio nei confronti di Renzi l’ho visto
solo contro Craxi». Il referendum con i suoi esiti incerti toglie alla
Leopolda quella leggerezza che l’ha resa così diversa dagli appuntamenti
di partito. Se la Leopolda è uno “stato d’animo”, e non un vertice di
addetti ai lavori, come sostiene Nardella, lo stato d’animo è quello di
chi non sa come butterà nell’immediato futuro. Gentiloni, forse non a
caso, fa sapere che ci verrà «per ragioni scaramantiche». Non ha mai
mancato un appuntamento. Non sia mai che porti male.
Resta la
celestiale scenografia. “E adesso il futuro”, recita lo slogan. Quale
futuro, però, non è dato sapere. Sul palco, la solita lavagna e il cielo
sullo sfondo. Sul pannello citazioni di Eleanor Roosevelt, Jfk, Tim
Berners Lee e Mandela. La Roosevelt: “Il futuro appartiene a coloro che
credono nella bellezza dei propri sogni”. Viene in mente il congresso
all’Eur del ’96. Fu Cuperlo a trovare la frase sul futuro, più densa e
contorta. Era Rilke: “Il futuro entra in noi, per trasformarsi in noi,
molto prima che accada”. Non portò gran fortuna al partito.
A
debita distanza, i dipendenti Equitalia protestano: «Matteo ci hai
scaricati». Ma parlano alla luna, tenuti a bada dalla polizia, lontani
dal luogo della festa cui parteciperà, come sempre, il loro
amministratore delegato Ernesto Maria Ruffini. Leopolda che esibisce
orgoglio di parte. Loro sono loro, noi siamo un’altra cosa: «Se anche
vincesse il Sì – dice Manrico – Renzi deve andare ad elezioni». La
logica, lo spiega, è quella del “non faremo prigionieri”. Clima
stemperato appena dalla dolcezza di una sera fiorentina, dall’omaggio ad
Amatrice , simbolo del dolore dei territori colpiti dal sisma. È tardi
quando Leonardo, lo chef, rovescia chili fumanti di spaghetti
all’amatriciana: «Sono fiorentino, sono andato sui libri a leggermi la
ricetta. L’ho provata a casa, mi sembra venuta bene».