sabato 5 novembre 2016

Repubblica 5.11.16
L’ideologia dell’ottimismo non funziona più come agli esordi
Una convention con tante crepe il premier stretto nella sua tenaglia
Il 4 dicembre si è trasformato in un plebiscito: e adesso Renzi è prigioniero Il leader costretto a rilanciare
Ma così facendo coalizza tutti i suoi nemici
di Stefano Folli

Questa Leopolda di novembre si annuncia assai meno brillante di quello che il suo inventore Matteo Renzi avrebbe desiderato. In origine doveva essere il grande appuntamento mediatico sulla via del trionfo plebiscitario del 4 dicembre, il suggello del partito personale il cui avvento era annunciato insieme alla nuova Costituzione. Ma le cose sono andate in tutt’altro modo. L’esito del referendum è ancora “sul filo di lana”, come dice il premier. E il dramma degli sfollati in Italia centrale getta un’ombra di mestizia sull’assemblea fiorentina. La magia delle prime Leopolda, a cominciare dal 2010, si è dissolta nelle asprezze del governo. E non poteva che essere così. Con la crescita economica quasi a zero, il debito pubblico alle stelle e l’Europa lontana, il “renzismo” non riesce più a essere una convincente ideologia dell’ottimismo. Lo è ancora nello slogan di quest’anno (“E adesso il futuro”), ma nella realtà è diventato una pratica governativa affidata in modo quasi esclusivo all’attivismo e al protagonismo instancabile del presidente del Consiglio. Il quale, a un mese esatto dalla scadenza decisiva per il suo avvenire politico, sa di essere stretto in una tenaglia.
Da un lato, gli è stato rimproverato di aver “personalizzato” la consultazione del 4 dicembre, assecondando una certa tentazione plebiscitaria innata in lui. Dall’altro, i successivi tentativi fatti per “de-personalizzare” il referendum, in ossequio alle critiche ricevute, non hanno portato a nulla di buono. Sia perché erano sforzi poco convinti sia soprattutto perché i sondaggi non sono migliorati. I critici argomentavano che l’eccessiva presenza del leader- tribuno offuscava il merito della riforma e coalizzava fra loro gli elettori antagonisti. Ma anche oggi tutti i sondaggi tendono a indicare la prevalenza del “No”. Quindi c’è qualcosa di sbagliato nel modo con cui Renzi e i suoi diffondono il verbo riformatore.
Da cosa può dipendere? In parte dalle contraddizioni stesse del progetto costituzionale, non sempre agevole da comunicare a un’opinione pubblica più attenta ad altre questioni urgenti riguardanti la vita delle persone. Poi c’è l’intreccio con una legge elettorale che è stata prima approvata con voto di fiducia e poi ripudiata senza che sia chiaro come verrà sostituita; ed è ben difficile che un accordo vincolante sia raggiunto prima del referendum. Infine c’è il tema più delicato ma cruciale. Un passaggio referendario trasformato in un plebiscito sul premier richiede in primo luogo un’immagine molto salda e credibile del protagonista. In Francia il generale De Gaulle vinse nel 1962 un fatidico referendum-plebiscito, pur fra notevoli contrasti: ma si trattava del salvatore del suo paese, dotato di un carisma straordinario. Il problema di Renzi è che il referendum costituzionale avrebbe dovuto sancire un’Italia in forte ripresa economica, riconciliata con la classe dirigente, non più minacciata dai movimenti populisti (che invece sono diffusi come non mai).
La realtà è quindi abbastanza amara e i dubbi che inquietano il premier si riflettono nelle crepe che incrinano la mitologia della Leopolda. Tutto lascia pensare che Renzi rilancerà se stesso con maggiore foga. Il referendum sarà di nuovo personalizzato al massimo grado nelle prossime quattro settimane, la campagna elettorale si farà incessante. Un errore? Probabilmente lo è, se si considerano le critiche che già avevano stigmatizzato la voracità invasiva del presidente del Consiglio. Ma questa è appunto la tenaglia in cui deve muoversi il premier: obbligato a combattere da solo, a costo di favorire un’alleanza di tutti i suoi nemici, e senza nemmeno la certezza di volgere a proprio vantaggio i sondaggi. Un’altra strada non c’è, a un mese dal voto. Forse ci sarebbe stata se l’intera strategia riformatrice, a suo tempo, avesse avuto uno stile e un’impronta diversi: in fondo si stava mettendo mano alla Carta costituzionale. Ma ormai quel tempo è scaduto.