La Stampa 5.11.16
Il segretario torna in stazione con la speranza di unire il partito
di Marcello Sorgi
Nata
come fucina identitaria del renzismo, in un passato recente che sembra
tuttavia ormai remoto, rimasta tale anche dopo che l’allora sindaco di
Firenze era passato da una posizione di minoranza alla conquista, prima
del partito e poi del governo, attraversata dalle prime serie difficoltà
l’anno scorso, quando in pieno scandalo della Banca Etruria sembrò
perfino che Maria Elena Boschi, personaggio simbolo delle precedenti
assemblee fiorentine, potesse rinunciare a parteciparvi, la Leopolda
2016, aperta ieri sera da un riabilitato Richetti, in attesa di essere
conclusa domani dal premier in persona, dovrà rispondere a una domanda:
adesso che è a Palazzo Chigi da due anni e mezzo, Renzi sarà in grado di
trasformare l’appuntamento nella vecchia ex-stazione di Firenze in
un’occasione per riunificare il Pd alla vigilia del referendum?
Per
farlo, Renzi farebbe prima ad annunciare che questa è l’ultima
Leopolda, piuttosto che provare a formulare un’apertura tale da
consentire a tutti quelli che l’hanno contestata di ricredersi. Perché
la Leopolda è stata finora la rappresentazione plastica
dell’insofferenza renziana alle costrizioni del partito classico, con le
sue liturgie, le sue regole, la sua lentezza. Per certi versi,
soprattutto nel 2014 del 40 per cento alle Europee, Renzi ha sempre
considerato il Pd un limite all’espansione del suo consenso nel Paese,
piuttosto che uno strumento da trasformare, ammodernare e rendere
elettoralmente più sexy. In altre parole, se uno nasce rottamatore, è
difficile, se non impossibile, trasformarsi in ricostruttore. E la
rottamazione riguardava, al di là dei personaggi simbolici fatti fuori,
che adesso vogliono vendicarsi come D’Alema o Bersani, prima di tutto la
forma partito novecentesca che il Pd, ultima delle forze politiche
presenti nell’attuale Parlamento, si ostinava a conservare. Anche per
questo, è difficile, se non impossibile, oggi tornare indietro.
D’altra
parte, Renzi, se vuol vincere nelle urne del 4 dicembre, ha bisogno di
recuperare il maggior numero possibile di elettori del Pd, che possono
fare la differenza. Nella politica di qualsiasi stagione, ci sono dei
momenti in cui un leader rinuncia ad alcuni tratti della propria
identità per offrire al proprio partito una sintesi credibile.
Paradossalmente, da quando il Movimento 5 stelle è entrato in difficoltà
perché ha vinto a Roma e a Torino, ma almeno nella Capitale non è in
grado di governare, è quel che sta facendo Grillo con i suoi. Domani
sapremo se anche Renzi ha voglia di provarci.