Repubblica 5.11.16
Franzen: “Io sto con Hillary ma ci sarà una guerra civile”
I timori dello scrittore di fronte all’avanzata del tycoon: “Incita alla violenza come faceva Hitler”
intervista di Wieland Freund
Jonathan
Franzen, 57 anni, è uno dei principali scrittori americani
contemporanei Nel 2002 con “Le correzioni” ha vinto il prestigioso
National book award. Il suo ultimo libro è “Purity” (Einaudi 2016)
L’otto novembre si vota. Abbiamo alle spalle un anno di campagna con protagonista Trump. Come è stato per Lei?
«La
campagna mi ha disgustato. Mi sono autoinflitto la tortura di seguire
il secondo dibattito presidenziale e dopo avevo la sensazione che mi
avessero puntato contro un idrante spruzzandomi addosso acqua di fogna
per un’ora e mezza. Sono nauseato dalla quantità delle infami menzogne
di Trump. E ora, dopo il disgustoso comportamento del direttore dell’FBI
sono terrorizzato e nauseato al pensiero che Trump trovi il modo di
vincere».
Trump ha attirato tutta l’attenzione.
Sorprende che invece si parli pochissimo del fatto che, stando ai sondaggi, l’America sarà governata da una donna. Come mai?
«Non
sappiamo cosa succederà, ma io penso che sia arrivato il momento di un
presidente donna, come era arrivato il momento di un presidente
afroamericano. Molte delle mie amiche più anziane sono entusiaste di
Hillary perché è donna. Se Hillary non riscuote un favore più universale
è perché non rappresenta solo un genere — rappresenta i Clinton, e agli
occhi di molti americani è più una Clinton che una donna. Si ha la
sensazione che non sia arrivata in alto con le sue sole forze e per
questo le femministe fanno fatica a tifare per lei».
Quando
Hillary Clinton si è sentita male non ho potuto fare a meno di ricordare
una frase che ha detto 8 anni fa, durante le primarie: “Nessuno dice
che Obama non è adatto al ruolo perché è nero, ma si sente ancora dire
che una donna alla presidenza non è una buona idea”. E’ così ancora
oggi?
«Sono solo i sostenitori di Trump a dirlo. Il nucleo del suo
elettorato è rappresentato da uomini bianchi non laureati, ossia
proprio la fascia demografica che nutre una visione più tradizionale dei
ruoli di genere. Se il tuo posto di lavoro è a rischio, il tuo reddito
in calo, se ti senti sempre più una minoranza in un Paese un tempo
bianco, tendi a compensare facendo uno sfoggio esagerato di virilità.
Per questo tipo di americano la misoginia di Trump, i suoi abusi sulle
donne non sono colpe. Sono virtù positive».
All’epoca ha vinto
Obama. Gli ha fatto leggere in anteprima il suo romanzo “Libertà” e lui
l’ha invitata alla Casa Bianca. Che ricordo avrà di lui?
«Non
dimenticherò mai la facilità di dialogo. Avevamo a disposizione solo
venti minuti ma dopo avrei voluto che il colloquio fosse durato cinque
ore. Non approvo tutto quello che ha fatto, ma sono certo che nella mia
vita non avrò più occasione di vedere un altro presidente così
compatibile con me sotto il profilo sia culturale che intellettuale ».
Obama è stato presidente in un periodo difficile. Ha agito bene? Nonostante i raid dei droni? Nonostante la Siria?
«Obama
è stato il primo presidente — ma, temo, non sarà l’ultimo — a dover
governare il Paese in società con un partito che rifiuta sempre più il
concetto stesso di governo. Tutto considerato penso che abbia fatto
staordinariamente bene. E’ vero, la Siria è un disastro e la guerra dei
droni è disgustosa ma non credo a nessuno che dica di avere in tasca una
soluzione chiara».
Il fenomeno Trump sarebbe stato immaginabile senza Obama?
«Il
fenomeno Trump è inimmaginabile senza Internet e i social media.
Internet ha creato un mondo in cui si può vivere immersi nella la
propria realtà virtuale senza doversi mai confrontare con la realtà nel
vecchio senso del termine. E Twitter non fa che peggiorare le cose,
perché non consente sfumature né complessità. Verrebbe da pensare che
postare dei tweet detestabili su una ex Miss Universo alle tre di notte
squalifichi un candidato alla presidenza, ma nel mondo di Twitter non
esiste distinzione tra pubblico e privato. Se si vive in quel mondo il
tweet di Trump, carico d’odio nel cuore della notte, sembra
perfettamente normale. Si apprezza Trump perché è “vero”».
In che cosa consiste il fenomeno Trump?
«Consiste
in parte nel rimpiazzare i valori politici con quelli
dell’intrattenimento, in parte nell’eliminare la distinzione tra
pubblico e privato, e in parte nel disprezzo crescente per i
fondamentali processi di governo. Sono convintissimo che il motivo per
cui questo fenomeno si manifesta proprio ora, nel 2016, ha carattere
tecnologico; senza Twitter non ci sarebbe Trump. Ma va anche notato che
questo tipo di populismo rispecchia una reale e giustificata
frustrazione nei confronti delle élite di ogni genere. A disgustarmi non
sono i frustrati dei ceti popolari, bensì il mezzo che hanno scelto per
esprimere la loro frustrazione: un sociopatico narcisista, rampollo di
una ricca famiglia di costruttori».
Lei conosce bene la Germania: vede paralleli fra Trump e l’estrema destra dell’AfD?
«Non
so se sia utile paragonare Trump a Frauke Petry (leader dell’AfD ndr.).
Sono seriamente convinto che il paragone più valido sia con Hitler.
Trump incita alla violenza, è esplicito nel suo disprezzo per il sistema
elettorale e si è scelto il motto “Io solo posso salvare l’America”. E’
molto lontano da Petry che, con tutte le sue pecche, non ha un
atteggiamento messianico».
In “Forte movimento“, il suo secondo
romanzo, descrive il clima che portò alla nascita del Tea Party. In
”Libertà“, 20 anni dopo, racconta di una famiglia che oggi senza dubbio
voterebbe Trump.
Che cosa è successo al partito repubblicano?
«Ormai
è il partito di Lincoln solo di nome. Una casualità storica. I
repubblicani sono diventati il partito della Confederazione americana a
cui Lincoln dichiarò guerra. Oggi assistiamo alla recrudescenza del
grave conflitto in seno alla società americana che diede origine alla
Guerra Civile. In ultima analisi riguardava la schiavitù, ma non va
dimenticato che prima della guerra i sudisti formulavano la loro difesa
della schiavitù rivendicando i “diritti degli Stati”. A
centocinquant’anni di distanza una consistente minoranza di americani,
degli Stati che vanno dalla Georgia all’Idaho, non ha mai accettato
l’idea di un governo federale. Per evitare l’oblio elettorale il partito
repubblicano prese ad allinearsi con questi americani ai tempi della
candidatura di Richard Nixon. La conclusione logica di questo
allineamento è l’ostinazione del partito a definire ipso facto
illegittima la presidenza di Obama. Ora temo che la candidatura di Trump
abbia danneggiato in maniera così grave il tessuto della nostra nazione
che Hillary, se verrà eletta, probabilmente dovrà passare il primo anno
del suo mandato a sedare ribellioni armate da parte di gruppi che
negano la legittimità della sua elezione. Credo che il problema potrebbe
porsi a livello grave soprattutto negli Stati rurali occidentali. Anche
se non si arriverà alla ribellione armata, prevedo che Hillary
combatterà una sorta di infinita guerra civile a difesa del nostro
sistema di governo».
( © Die Welt / Lena, Leading European Newspaper Alliance Traduzione di Emilia Benghi)
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IL PUNTO DEBOLE
Agli occhi di molti è più una Clinton che una donna: come se non fosse arrivata da sola. Ma oggi siamo pronti per una presidente