Repubblica 3.11.16
Il segno della debolezza
di Stefano Folli
NON
ci sarà il rinvio dell’ultim’ora del referendum, ma lo psicodramma
riserva ancora bizzarre sorprese. La storia, peraltro, è senza
precedenti: una campagna elettorale cominciata in maggio, a cavallo
delle amministrative.
E PROSEGUITA in estate con l’argomento che
non c’era tempo da perdere poiché la data del voto era dietro l’angolo,
giusto ai primi di ottobre. Poi invece si comincia a scivolare in avanti
e si arriva a fissare le urne per il 4 dicembre, ossia quasi a Natale.
Nel frattempo gli italiani sono estenuati e in ogni caso si sono accorti
che esistono problemi più pressanti: la “crescita zero”, la
disoccupazione, ora anche il terremoto.
È a questo punto che
irrompe sulla scena il tema del rinvio. Se ne è parlato per alcuni
giorni, senza che fosse chiaro quale era l’origine dei suggerimenti o
delle pressioni in favore dello slittamento. Diciamo che tutto nasce da
una preoccupazione, quella a cui ha dato voce ieri il ministro
dell’Interno Alfano: nell’ora in cui un Paese sconvolto per le
conseguenze del sisma è chiamato a uno sforzo solidale, ecco che
s’introduce con il referendum un fattore “divisivo” e quindi lacerante.
Alfano usa proprio il termine “divisivo”, come se potesse esistere una
consultazione giocata sul Sì contro il No che non lo è.
Il motivo è
quindi fragile. Tuttavia il responsabile del Viminale, che non è
l’ultimo arrivato, ha voluto farvi ricorso sfidando il rischio — o
meglio, la certezza — di essere smentito. Diciamo che Alfano si è
sforzato di parlare come uomo delle istituzioni più che come capo di un
partito. La sua è infatti una preoccupazione di tipo istituzionale che
fa seguito a quella espressa da Castagnetti e da altri esponenti sia
dell’area centrista sia del mondo cattolico aderente al Pd. È un
ambiente trasversale, abbastanza forte nelle aule parlamentari, senza
dubbio a favore del Sì, ma inquieto su cosa potrà accadere dopo il
referendum se ad affermarsi sarà il No, magari in un clima di
radicalizzazione del confronto.
È probabile che Alfano si
rivolgesse anche, se non soprattutto, ai settori di Forza Italia più a
disagio di fronte alla prospettiva di una stretta alleanza con Salvini. E
infatti egli ha insistito sul punto: oggi il governo non pensa di
rinviare il referendum, ma se glielo chiedesse una componente
significativa dell’opposizione il quadro potrebbe cambiare. Anche in
questo caso l’argomento è vagamente surreale. Non è nemmeno immaginabile
che il governo Renzi, di sua iniziativa, decida il rinvio del
referendum; ed è anche fuori della realtà che i cosiddetti “moderati” di
Forza Italia spezzino il fronte degli oppositori per unirsi alla
maggioranza e ottenere lo slittamento per via parlamentare. Una simile
ipotesi potrebbe prendere corpo solo davanti a un’emergenza nazionale
ancora più grave del terremoto in Umbria e Marche: in quel caso
l’iniziativa, imposta dall’urgenza e sotto forma di appello al
Parlamento, potrebbe venire solo dal Quirinale. Tuttavia Mattarella, pur
sollecitando a più riprese uno slancio di coesione nazionale, non si è
mai spinto a suggerire, nemmeno fra le righe, uno slittamento del
referendum. Quanto meno, mai nelle sedi ufficiali.
Alla fine, la
vicenda si conclude come è cominciata. Allo stato delle cose, il rinvio
non è praticabile. Tuttavia un tentativo c’è stato, forse non solo
mediatico, e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. A cominciare
dalla divergenza palese fra il ministro dell’Interno e il presidente del
Consiglio. Una divergenza che in condizioni normali non sarebbe
ammissibile e darebbe luogo a un chiarimento fra i due. Viceversa, tutto
sarà derubricato come un contrasto fra diverse sensibilità; quando
invece il problema riguarda l’incertezza del governo. Si è trasmessa
all’opinione pubblica l’idea che nel cuore dell’esecutivo e della
maggioranza prevale il timore del risultato elettorale. E che si cerca
un appiglio o un pretesto per rimandare le urne a tempi più propizi. Di
qui il sondaggio svolto a favore dello slittamento e rapidamente
fallito. Ma l’impressione di debolezza resta ed è un grave errore.