Corriere 3.11.16
Il patto per il nuovo Italicum dietro lo scontro sulla data
I contatti (naufragati) tra Roma e Arcore per cambiare insieme la legge
di Francesco Verderami
ROMA
Lo spostamento della data referendaria non sarebbe un fatto tecnico,
sarebbe l’inizio di una rivoluzione politica. È una sequenza che, se
impostata, muterebbe gli schieramenti referendari e alla lunga anche gli
schieramenti nazionali. È uno scenario chiaro a tutti i protagonisti
del Palazzo, è la road map attorno a cui si è scatenato lo scontro tra
quanti lavorano ancora a una trattativa comunque difficilissima, e
quanti invece mirano a farla definitivamente saltare.
Se la
consultazione fissata per il 4 dicembre slittasse in primavera, infatti,
il Parlamento utilizzerebbe i prossimi mesi per cambiare l’Italicum. E
siccome il rinvio del referendum non potrebbe che essere frutto di un
accordo, è altrettanto chiaro che le modifiche al modello di voto
farebbero parte dell’accordo. Verrebbe così cancellato quel «combinato
disposto» tra riforma costituzionale e sistema elettorale che Berlusconi
contesta a Renzi, quel timore dell’«uomo solo al comando» che lo ha
indotto a schierarsi con il fronte del No. Seppellito l’Italicum, in un
ritrovato Nazareno, il Cavaliere potrebbe seppellire l’ascia di guerra
referendaria. Sarebbe una mossa che sposterebbe gli equilibri a favore
del Sì. E ridisegnerebbe la geografia politica nazionale.
Ecco
perché se cambiasse il timing cambierebbe tutto. Ecco di cosa si è
discusso a cavallo dello scorso fine settimana tra Roma e Arcore. Ecco
il motivo che ha spinto Gianni Letta a perorare presso il Cavaliere una
causa ritenuta «saggia e intelligente», dentro un giro di consultazioni
istituzionali e politiche che comprendeva anche l’establishment
renziano, dentro un ragionamento dettato dall’emergenza per il
terremoto, tra il desiderio di «coltivare» il clima di solidarietà
nazionale e il problema «oggettivo» di decine di migliaia di sfollati
che hanno altre priorità e rischiano di rimanere esclusi dal voto.
Ma
una simile operazione sconta molti problemi. A iniziare da quello
tecnico: a parte un precedente che risale ai tempi del governo Goria,
quando un referendum per ragioni di norme venne anticipato, nella storia
repubblicana non è mai accaduto che una data elettorale già
formalizzata venisse cambiata. Senza dimenticare che servirebbe un
intervento legislativo per formalizzare la decisione. Eppoi c’è un
problema politico: chi potrebbe assumersi la paternità di una simile
scelta? Il Quirinale, per quanto caldeggi i buoni rapporti tra
maggioranza e opposizione, non potrebbe certo farsene interprete. Se lo
facesse Renzi darebbe un’impressione di debolezza nella sfida
referendaria. Si muovesse Berlusconi scatenerebbe la rivolta nella sua
coalizione e anche nel suo partito.
È in queste difficoltà che si
sono inseriti gli avversari dell’operazione, sfruttando peraltro
l’intervista concessa da Alfano a Rtl. Per quanto il ministro
dell’Interno abbia premesso che «il governo non farà alcuna richiesta di
rinviare il referendum», il messaggio lanciato a Berlusconi di aprire
la strada all’intesa («memore del terremoto dell’Aquila») ha finito per
irrigidire il Cavaliere, che nei giorni scorsi aveva dovuto fronteggiare
l’insurrezione di un pezzo del suo partito rispetto al progetto, e per
questo motivo era orientato a rigettarlo. Allo stesso modo Renzi si è
trovato costretto a intervenire subito per proteggersi dall’offensiva di
Grillo.
La trattativa si è così infranta su quelli che un
autorevolissimo rappresentante del mondo berlusconiano ha definito «i
cavalli di frisia» issati da quanti si battono contro i negoziati. Ma
per quanto i margini si siano ancor più ristretti, l’operazione non
viene considerata definitivamente fallita. Che fosse in atto non ci sono
dubbi. Ce n’è il riscontro in una frase di Renzi, che nei giorni scorsi
— dopo aver detto «noi non spostiamo la data» — aveva aggiunto «anche
perché nessuno ce l’ha chiesto». E ce n’è traccia nell’appello di
Calderoli a Berlusconi pubblicato ieri dal Giornale , e dove — guarda
caso — anche l’ex ministro citava il terremoto dell’Aquila: «Caro
Silvio, continuo a vederti titubante sullo scendere in campo a sostegno
del No». In effetti, se cambiasse la data del referendum...